venerdì, giugno 26, 2009

Strumenti alternativi in mano all’Avvocatura, per puntare a un sistema giudiziario efficiente.



I legali rivendicano un ruolo essenziale nell’organizzazione di un metodo diversificato di risoluzione dei conflitti affidando le funzioni conciliative a professionisti opportunamente formati e ai Consigli dell’Ordine la garanzia di trasparenza dell’intera procedura
L'Organismo unitario dell’avvocatura italiana ha sempre sottolineato che i sistemi di Risoluzione alternativa alle controversie (Adr) non costituiscono una soluzione alla giurisdizione ordinaria ma assumono rispetto a esse un ruolo parallelo e autonomo pur contribuendo alla deflazione dei ruoli.
Basandosi su questo rilievo l’Oua ha considerato le soluzioni extragiudiziarie alla stregua di una risposta adeguata al conflitto e quindi uno dei possibili metodi di risoluzione delle controversie, non secondario e neanche alternativo, ma più propriamente parallelo.
Si profila, in questo modo, un “sistema plurale” di tutela dei diritti, all’interno del quale il cittadino deve poter scegliere liberamente, in base al tipo di controversia che si presenta, tra diversi metodi di risoluzione tutti parimenti efficienti e garantiti, ma diversi nel loro fondamento.
Ciò significa che la diffusione delle procedere extragiudiziali non consegue, come automatica conseguenza, alla crisi della giustizia ordinaria ma, al contrario, si fonda sull’esistenza di un sistema giudiziario ben funzionante che ponga il privato nella condizione di poter scegliere tra una struttura togata (da rendere sufficientemente rapida) da un lato e una metodologia consensuale (da rendere sufficientemente sicura) dall’altro lato, senza che si debba porre l’alternativa inaccettabile tra una giurisdizione pubblica inefficiente e garantista e un sistema di procedure non contenziose efficienti.
La diffusione degli strumenti alternativi deve, pertanto, ritenersi direttamente proporzionale al livello di efficienza del sistema giudiziario, poiché nessuna delle parti in contesa deve sentirsi maggiormente protetta, nel suo inadempimento, da una conclamata lentezza del procedimento giudiziario che venga prescelto proprio per l’indubbio vantaggio per così dire procrastinatorio.
La costruzione di un sistema giudiziario efficiente - pur senza l’ossessione della rapidità che potrebbe ridondare in danno delle garanzie che sono al contrario il presupposto di una vera efficienza - costituisce, quindi, una imprescindibile priorità per tentare un recupero di fiducia e anche di qualità della giurisdizione.
È evidente a questo punto l’esigenza che, al pari del giudizio affidato al giudice togato o laico, la conciliazione deve essere affidata a un conciliatore che risponda a caratteristiche fondamentali di professionalità e qualificazione, mentre la procedura deve essere amministrata da organi autorevoli e credibili, sia privati che pubblici (possibilmente i Consigli dell’Ordine forense), che forniscano sufficienti garanzie di efficienza, trasparenza, competenza e indipendenza.
Gli organismi privati potranno prevedere la partecipazione di professionisti iscritti in albi,ma dovrà essere esclusa la mera partecipazione di capitale.
Alla stregua del fatto che l’attività conciliativa è attività propria del professionista legale, l’Avvocatura giustamente rivendica, anche in funzione di un interesse della collettività, un ruolo essenziale nell’organizzazione di un sistema diversificato di risoluzione dei conflitti, affidando agli avvocati (opportunamente formati) funzioni conciliative anche in materie attualmente precluse, nonché speciali funzioni di certificazione e autenticazione per atti riguardanti le procedure conciliative.
All’Avvocatura deve, inoltre, essere riconosciuto un ruolo preminente nella gestione di quelle istituzioni che saranno previste dalla legge, valorizzando la funzione pubblicistica degli ordini forensi ai fini della creazione di Camere di conciliazione presso tutti i Consigli degli ordini, da affiancarsi alle Camere di conciliazione presso le Cciaa e agli organismi privati opportunamente regolamentati e registrati.
È stato fatto riferimento anche alla opportunità di valorizzare la funzione dei Giudici di Pace (il Giudice laico secondo la proposta Oua) nella gestione delle procedure conciliative.
Nel caso della conciliazione endoprocessuale, in mancanza di diverso accordo tra le parti circa la designazione dell’ente gestore, il giudice potrà invitare le parti a esperire il tentativo presso la Camera di conciliazione “forense”.
A tal proposito, va segnalata la opportuna previsione della immediata esecutività del verbale di conciliazione redatto dalle camere di conciliazioni tribunalizie.
La caratterizzazione dell’istituto conciliativo come procedimento fondato sulla esclusiva volontà delle parti comporta il rischio concreto che la parte più debole al tavolo negoziale, in mancanza di opportune tutele, possa subire l’imposizione di un contratto vessatorio e/o iniquo e/o che si discosta significativamente dalle situazioni giuridiche delle parti.
In un siffatto contesto, la potenziale perdita di garanzie derivante dall’assenza in conciliazione di un organo giudicante e di meccanismi procedurali (nonché di mezzi di impugnazione) potrebbe ragionevolmente essere compensata dall’intervento della difesa tecnica che contribuirebbe a reintrodurre nella metodologia consensuale uno strumento di tutela degli interessi dei contendenti.
In questo quadro si colloca la direttiva n. 2008/52 del 21 maggio 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.
Sulla premessa che l’obiettivo di garantire un migliore accesso alla giustizia dovrebbe comprendere l’accesso ai metodi giudiziali ed extragiudiziali di risoluzione delle controversie, le istituzioni europee hanno stabilito che la mediazione può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti.
Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la formazione dei mediatori e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione al fine di preservare la flessibilità del procedimento di mediazione, l’autonomia delle parti e a garantire che la mediazione sia condotta in un modo efficace, imparziale e competente.
Il codice europeo di condotta dei mediatori, inoltre, dovrebbe essere disponibile su Internet per il pubblico. Il rispetto degli accordi derivanti dalla mediazione non può dipendere solo dalla buona volontà delle parti e, anzi, se queste lo chiedono, gli stati membri dovrebbero garantirne l’esecutività.
Sempre che il contenuto non sia in contrasto con il diritto dello stato membro, compreso il diritto internazionale privato, o se tale diritto non prevede la possibilità di rendere esecutivo il contenuto dell’accordo in questione. Partendo da questi presupposti il Parlamento ha approvato la riforma processuale civile inserendo una delega al Governo per adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale.
Questi i più rilevanti principi e criteri direttivi della delega al Governo:
a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;
b) prevedere la possibilità, per i Consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgano del personale degli stessi consigli;
c) prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
d) favorire mediante agevolazioni anche di carattere fiscale gli istituti della mediazione e della conciliazione;
e) il procedimento di conciliazione non potrà in ogni caso avere una durata eccedente i tre mesi;
f) nel caso che un giudizio sia stato instaurato nonostante il tentativo di conciliazione e la statuizione corrisponde al contenuto della proposta conciliativa, va esclusa la ripetizione delle spese sostenute dalla parte virtuosa che abbia rifiutato l’accordo;
g) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

MAURIZIO DE TILLA
Presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura italiana

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