mercoledì, gennaio 31, 2007

IN RICORDO DELL'AVV. LUIGI DE NICOLELLIS: UN INDIMENTICABILE MAESTRO.



E' passato oltre un lustro dalla morte dell' Avv. LUIGI de NICOLELLIS.
Il Consiqlio dell'Ordine degli Avvocati di Salerno ne ha celebrato la figura di Professionista e di Presidente dell'Ordine intitolando al Suo nome quell'aula del Consiglio, nel Palazzo di Giustizia, sede del Suo Studio, che lo vide, per 23 anni, guida sapiente e tenace delle sorti dell' Avvocatura salernitana.
In anni difficili per l' Avvocatura, segnati da problematiche generali (connesse all'enorme aumento del numero degli iscritti agli Albi, al mutamento delle regole per accedere alla Professione e per il suo esercizio) e particolari del Foro di Salerno (connesse, principalmente, alla sopravvenuta insufficienza delle strutture edili del Circondario), fu sempre presente in tutti i dibattiti tenutisi sugli indicati argomenti - a livello locale e centrale - facendo sentire la Sua voce (anche attraverso vibrati interventi sul Foglio "LA GIUSTIZIA") in assoluta autonomia di giudizio, libera ogni condizionamento, sui problemi e sulle necessità dell'Avvocatura in generale e, più specificatamente, di quella salernitana.
Non trascurò, però, di occuparsi anche deqli aspetti più particolari e formali della Professione, ricordando, tra l'altro, agli Avvocati di vestire la toga in udienza (anche in quelle civili, almeno nella pubblica udienza di discussione) e di aver sempre cura della propria immagine sia in udienza che fuori dell' udienza negli altri momenti che caratterizzano la vita dell' Avvocato sia all' interno che all' esterno del Foro, per la Funzione svolta, indispensabile e gravosa come quella del giudizio, riservata ai magistrati.
Ricordava che - a ben riguardare - alla fine e lungi dall'essere un mero gioco verbale, la forma, come in certe questioni di diritto (e prima ancora nelle dissertazioni dei Filosofi) si risolveva nella stessa sostanza e che la sostanza era inseparabilmente la stessa forma.
Ho detto che Egli fece sentire la Sua voce a difesa della Classe, in tutte le sedi, ma più di ogni altro luogo la Sua voce fu avvertita nel Foro salernitano, che lo vide per circa 50 anni tra i primi Avvocati civilisti.
La Sua voce, il tono della Sua voce per chi lo ha conosciuto era, ancor più del gesto e del volto, la prima percepita espressione della Sua persona che - completata dal tratto misurato e signorile e dall'affabile sorriso - lo rendeva immediatamente ben accetto all' ascoltatore.
Ognuno ha la sua voce ed è inconfondibile per la Sua voce, quasi suggello della persona, quel Suo naturale, leggero pizzicare la "erre", alla francese, lungi dal costituire una nota snobistica o pertubatrice nell'articolazione del discorso, aumentava, attraverso la giusta modulazione del timbro, l'incisività del Suo dire e catturava maggiormente l'attenzione dell' ascoltatore, intento a seguire con maggiore concentrazione il rapido svolgersi dei concetti espressi con toni insinuanti ed efficaci, quasi che quell'appena avvertito strascicare della consonante, dando una insolita accellerazione alle parole ed alla frase, consentisse ai concetti di raggiungere più rapidamente colui che ascoltava, reso - perciò - più attento per non perdere alcun passaggio o sviluppo del discorso.
Ricordo il discorso commemorativo che tenne per la morte dell' Avv. Mario Parrilli, Presidente dell' Ordine; l' uditorio (le Aule De Felice e Parrilli erano gremite fino all'inverosimile) fu letteralmente rapito ed affascinato dalla ricostruzione storica che Egli fece della Salerno dell' inizio del secolo scorso e dal racconto della vita e del valore dell' eccelso Avvocato Penalista.
Tutti gli Avvocati presenti capirono che il Foro di Salerno aveva trovato nell'oratore l'erede legittimo di un così eccelso predecessore.
Eletto, subito dopo (veniva casi rispettato anche il principio non cadi ficato dell' alternanza Foro che aveva spesso visto alla Presidenza "un civilista" seguire "un penalista" o viceversa), Presidente dell' Ordine, fu confermato nella carica per 23 anni.
Lo stesso movimento ed impianto stilistico della voce potremmo ritrovare intatto nelle volute del suo periodare.
Nello scritto preferiva il discorso diretto, esporre il "fatto" come racconto della vicenda umana che aveva dato luogo alla causa.
La frase - complessa, ma ben articolata - era sempre incentrata, nel suo costrutto. su di una proposizione principale, cui faceva seguire. quasi a dare maggiore esplicitazione e forza ai concetti già espressi, una o più secondarie o consecutive (tra di loro, a volte, legate da incidentalità o subordinazione).
Sapienti distribuzioni (padrone della testualità, usava con grande proprietà i segni di interpunzione) e serrato fraseggio rendevano quegli scritti sempre nitidi e chiari: un' arte che ritrovava la sua origine nel Suo stesso naturale, lieve discorrere.
Nel Suo scritto si coglieva un' ansia, una tensione, diretta a catturare il lettore alla Sua tesi.
Non senza rinuciare, all'occorrenza, a digressioni colte o a riferimenti classici.
Il Suo fu uno stile di scrittura del tutto personale, molto moderno, senza ingombri, senza pesi.
Il contenuto delle Sue difese era essenziale: non amava indugiare sui piccoli punti controversi, anche se favorevoli, preferendo cosi affrontare fin dalle prime battute del processo i punti "nodali" della causa (quegli stessi punti spesso contrassegnati da un esclamativo o da un interrogativo, che al lettore del fascicolo di Studio si presentavano annotati, registrati con la Sua inconfondibile, minutissima grafia, come in un memorandum, su di un piccolo foglio che soleva compilare durante il prirmo colloquio col cliente) da Lui ritenuti risolutivi della controversia.
Punti (a volte appena accennati o addirittura trascurati nelle prime difese) sui quali – poi – si sarebbe a lungo soffermato nelle articolate comparse conclusionali.
Aveva queste particolare intuito: ogni causa ha il suo punto risolutivo ed Egli aveva il naturale dono di scopire quel punto, spesso fin dalla prima lettura degli atti processuali ed aveva la capacità di custodirlo (le re'tole del processo allora lo consentivano), anche a rischio di far apparire più debole la posizione del Suo Cliente, ma pronto a renderlo manifesto nel giusto momento, compromettendo – così - irreparabilmente e definitivamente le avverse tesi.
Il procedere discorsivo del suo periodare alleggeriva il contenuto dell'esposizione ed, alla fine, ogni aspetto della vicenda risultava giustamente illuminato sia sotto il profilo del fatto (le tesi difensive debbono aderire al fatto) che del diritto, del quale si serviva per ricoprire il fatto enunciato a dimostrazione della perfetta corrispondenza alla norma i della Sua tesi e - quindi - della giustezza della posizione che difendeva.
Nello strutturare il ricorso per Cassazione fu maestro: gli bastava, laddove il fatto e ridotto al rango di presupposto, riportare il fatto (la cui esposizione, sia pure in modo sintetico. è sempre necessaria), alla Sua nuda essenza e quindi, nei motivi, sviluppare (dissertando de apicibus iuris) e far lievitare il diritto con cui l'aveva ammantato nei precedenti gradi di giudizio.
Qualche volta, dopo di aver studiato un processo e preparata la discussione, all'ultimo momento, stravolgeva la Sua difesa, abbandonando la "traccia scritta” di ciò che avrebbe detto, preferendo così improvvisare e sorprendere la controparte con considerazioni nuove e sempre decisive, per volgere in Suo favore l'esito della causa.
In udienza eccelleva in quella particolare tecnica che ha ad oggetto la formazione della prova: i suoi serrati controinterrogatori delle parti e dei testimoni spesso mettevano a nudo, fin dall' inizio dell' istruttoria, la contraddittorieta e l'inconsistenza degli avversi assunti.
Non amò l'uso di formule, locuzioni o lemmi (tanto frequenti nella prassi forense): la struttura ed il contenuto di ogni atto del processo erano, per Lui, scritti nei codici che aveva sulla scrivania a portata di mano e che non trascurava di leggere prima di preparare ogni atto, collegando le norme utilizzate tra loro. cosicchè, alla fine, la compilazione definitiva era il risultato di questa lettura comparata ed incrociata delle varie norme di diritto sostanziale e processuale, sapientemente adattate ai fatti trattati.
Non Lo sorprese la riforma del codice di rito (anni 90/95) anche se dopo le prime sperimentazioni, Lo udii, più volte, esprimersi in termini nostalgici per la figura del vecchio Giudice Istruttore, a torto accusato di essere il "despota del processo civile", mentre le riforme, con l'introdotta perentoria scansione di numerosi nuovi "termini", avevano per Lui tolto al processo - oramai caratterizzato anche nella tutela ordinaria, in omaggio al canone della "rapidità", da cadenze ritmiche ripetitive ad esecuzione istantanea e necessariamente simultanea per tutte le parti in causa - il fascino dell'imprevedibilità e la possibilità di mutare l'esito della causa in proprio favore fino all'ultimo momento.
Fu sempre molto aperto e disponibile verso i giovani praticanti ai quali soleva ripetere (i momenti di effettivo colloquio con i praticanti erano ben pochi, essendo Egli ogni giorno molto impegnato sia in studio che fuori studio; spesso a Roma per la discuscussione dei ricorsi in Cassazione, per partecipare alle riunioni del CNF) che l'addestramento professionale pratico (il c. d . “mestiere” .: quello non scritto nei libri) dovevano "conquistarlo", giorno dopo giorno, attraverso l'esercizio di un effettivo tirocino che consentisse loro, solto ascoltando e molto ritenendo in udienza, di apprendere anche come muoversi e comportarsi in Tribunale nei quotidiani rapporti con i giudici, con gli altri avvocati e con il personale di cancelleria, ma soprattutto attroverso lo studio, attento e critico, delle copie degli atti da Lui. redatti e delle decisioni dei Giudici.
Non esisteva (e credo non esista nemmeno oggi i) il manuale la cui lettura potesse far "diventare Buon Avvocato": la "patente di Buon Avvocato", soleva dire l'Avv. de Nicolellis, bisognava - alla fine - sempre conquistarla "sul campo".
Nessun ammonimento o consiglio poteva essere valido: bisognava sempre rivivere in prima persona l'altrui esperienze, anche a costo di commettere - nonostante gli avvertimenti - gli stessi errori dei predecessori.
Anche l'Avv. Luigi de Nicolellis. Che sicuramente fu "Avvocato" nel senso più completo del termine, si formò, non di fferentemente dagli altri, dapprima attraverso un rigoroso apprendistato (anche la Sua vita di Avvocato fu, poi, caratterizzata da questo rigore: destinava, anche nei giorni festivi, sottraendole alla Fallliglia, molte ore al lavoro e preferiva le prime ore del mattino - apriva lo Studio, sia d' inverno che d'estate, quasi all'alba - per stendere, a mano, le minute degli atti) nello Studio del padre, anch'Egli Avvocato (quanto dovettero essere più gravi e sofferti gli anni del Suo apprendistato, che coincisero con la lunga malattia del padre!), poi, nell' agone del Foro Civile salernitano, confrontandosi quotidianamente con gli Avvocati del suo tempo, con i quali intrattenne sempre un rapporto corretto e rispettoso, nonostante i contrapposti patrocinii, nella vita del Foro e cordiale fuori di essa.
Ugualmentenei rapporti con i magistrai: nel parlare ad Essi fu sempre misurato, discreto, essenziale nell'esposizione delle Sue difese, rifuggiva da prolissità verbose e dal far ricorso alla preterizione (figura retorica dell’ipocrisia), frequente nell'oratoria forense.
Fu portatore, fino alla morte, di quella costante tensione mentale che inevitabilmente ed inesorabilmente segna e strugge la vita degli Avvocati, ma è loro indispensabile per compiere fino in fondo il loro Ufficio per essere essi "gli organi propulsori del processo" (soprattutto quello civile, ma oggi anche quello penale, principalmente nella riscritta fase del dibattimento), attori o convenuti, difensori dell'imputato o della parte civile, "prima nel senso umano" e poi nel senso "tecnico processuale".
Quanti Avvocati del Foro salernitano ha travagliato quest'Arte difficile e comiplessa!
Bisognerebbe ricordarLi Tutti: bisogna conoscere le proprie origini ed il proprio passato per poter migliorare; o forse, oggi, conta poco o niente ricordare le proprie origini ed il proprio passato perchè, in prospettiva futura, l'avvocato a formazione fortemente individuale ed umanistica (il passato ) è destinato ad essere sostituito da quello della visione postmoderna/fantastica e surreale cosi ben tratteggiata dallo scrittore Stefano Benni, in poche battute; nel Suo libro "La Compagnia dei Celestini" (S. Benni "La Compagnia dei Celestini" - Feltrinelli- 1992, 78 ): ….ognuno progettava invenzioni spericolate, inseguendo il miraggio del benessere perduto….gli avvocati, minicomputer per ogni tipo d’arringa”.
A Luigi de Nicolellis, oggi, al riaffiorare di tanti ricordi, è rivolto il mio pensiero, con l’unico augurio ancora possibile: CHE TI SIA LIEVE LA TERRA!
Avv. Giuseppe Negri

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