venerdì, novembre 17, 2006

NORMATIVA STUPEFACENTI: INGANNI SPACCIATI PER LIBERTA'.


Bisognerà, prima o dopo, che il ministro Livia Turco racconti agli italiani perché ha deciso di concedere il raddoppio di cannabis per uso personale.
Dai 500 milligrammi di prima, al grammo di adesso espresso in principio attivo, che equivale al contenuto medio di quaranta spinelli.
S'è detto che il provvedimento ha lo scopo di non mettere nello stesso calderone spacciatori e consumatori, anche se la nuova quantità consentita è più da logica di mensa della Caritas che da razione kappa ad uso individuale.
Dicevo che è importante conoscere lo scopo di una simile scelta.
Se l'intenzione era quella di non affollare le carceri, perché già piene da scoppiare, bisognava precisarlo, magari cercando soluzioni alternative.
Era un modo intelligente per dire: la droga fa male, ma non potendo gestirla con il sistema carcerario, provvediamo diversamente.
Ma era importante ribadire che la droga è un male, dare un segnale culturale e politico forti. Il fatto è che essa si sta rivelando sempre più come un fatto consumistico.
Dopo gli anni '60, in cui si impose come segnale di ribellione verso le regole sociali, si è passati all'assunzione come fenomeno di disadattamento.
Il tossico appariva sempre più come l'icona dell'emarginazione e del disagio.
Oggi non è più così. Essa continua a lasciare i segni della devastazione, ma è come esorcizzata nella logica del fatto di costume.
Farsi una canna o tirar di coca appare sempre più come una sorta di iniziazione, di passaggio obbligato. Un fenomeno di banale ritualità, entrato nell'uso comune, come mandare sms o navigare su internet.
In questo scenario, appare evidente il conflitto crescente tra il progetto di una normale famiglia, intenta a dare il meglio per i propri figli, e gli indirizzi della politica che vanno a smentire l'intenzionalità della famiglia stessa.
Un genitore che saluta un figlio quando esce di casa per andare a scuola o al lavoro, sogna non solo che ritorni a casa integro in salute, ma anche che non incappi dentro orizzonti di vita, capaci di rubargli libertà e lucidità.
La politica per le famiglie non può esaurirsi sul versante economico, con qualche sussidio rimediato nelle pieghe di già munte finanziarie, ma prima ancora su quello culturale, andando ad intercettare la fatica dei genitori e nel ripristinare le condizioni perché il loro progetto educativo possa davvero trovare compimento, in sinergia di prospettive.
L'impressione è che dietro a tanto «largheggiare» di vedute si celi in realtà quel vietato vietare cresciuto con la generazione di chi governa e che ha prodotto la coscienza di una libertà tanto anarchica quanto favoleggiata.
Un ripristino del vecchio mito illuminista, che non si decide né per il bene né per il male, perché nessun principio oggettivo, neppure quello che potrebbe venire dalla natura, può diventare limite all'esperienza dell'uomo.
Un caos esistenziale, dove l'idea di bene non si accompagna più a dei fini o a degli ideali da perseguire, quanto al rifornimento di mezzi per vivere alla giornata.
Il grande racconto sapienziale di Pinocchio ci tramanda una gioventù in perenne balìa tra le lusinghe di Lucignolo,
destinato a consegnare il proprio destino ad esiti animaleschi, e la voce del Grillo, che ricorda al burattino la sua presenza nella stanza da oltre cent'anni.
Metafora finissima per dire che ci sono verità indomabili, che vengono prima dell'uomo e delle culture che esso riesce ad esprimere.
«Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro» (Isaia 5, 20).
Sono le parole severe del profeta, dette tanti secoli fa. Ai giovani la politica dovrebbe tornare a dire parole capaci di diventare obiettivi nobili, proposte ideali. Restituire loro la coscienza delle proprie possibilità e il fascino non rinunciabile della loro responsabilità.
Garantirli che si possono fare tutte le canne che vogliono è soltanto giocare sul loro destino, in nome di una libertà parente dell'inganno.

Bruno Fasani

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