domenica, novembre 12, 2006

GLI ITALIANI SONO IMPAZZITI?



Sì, noi italiani siamo impazziti. Impazzita è Rita Levi Montalcini, premio Nobel, che si aspettava dal suo governo un investimento sulla ricerca.
Impazzito è il ministro degli Esteri D'Alema che ha chiesto maggiori fondi per la Farnesina. Impazzito è Giuliano Amato che si è preoccupato per le risorse del ministero dell'Interno. Impazzito era Carlo Azeglio Ciampi quando ha parlato di una Finanziaria senza anima. Impazzito era il governatore Draghi quando ha chiesto riforme strutturali. Impazzito è il senatore Pallaro, alla voce finanziamenti per gli italiani all'estero. Impazziti sono i sindaci, i professionisti, i commercialisti, i negozianti, i medici, i dipendenti del pubblico impiego. Cinquantasei milioni di pazzi. Con una sola eccezione: Romano Prodi.
È lui l'unico a preoccuparsi del futuro, in un Paese di spendaccioni, lobbisti, scialacquatori, evasori fiscali, di gente che parcheggia in seconda fila, che preferisce il piccolo uovo di oggi alla grassa gallina di domani. Insomma siamo un popolo che non vuole capire che sta iniziando quell'era di felicità che il numero uno dell'Unione aveva promesso in campagna elettorale.
Siamo alle porte del Paradiso in terra e non vogliamo riconoscerlo.
Il presidente del Consiglio è in preda ad una sindrome che, se è brutta per le persone comuni, appare pericolosa per chi ha in mano un potere di governo. C'è una vasta letteratura sull'argomento. Senza scomodare i classici e senza neppure ricordare cosa venne scaricato su Berlusconi quando si lasciò sfuggire la famosa battuta sui «coglioni», ora c'è essenzialmente da dire che quando un esponente politico se la prende con tutti gli altri, anche con coloro che l'hanno votato, questo vuol dire che è solo, che non capisce il Paese in cui vive e che è fuori della realtà. Non c'è un'altra spiegazione.
Gli esperti di dietrologia ci diranno oggi che questo sfogo è dovuto a tante piccole ragioni. Un senatore a vita, finora militante del centrosinistra, che minaccia di non dare il suo assenso alla Finanziaria e che, con l'autorevolezza del premio Nobel ricevuto, pone un problema più generale di credibilità. Ministri della sinistra antagonista che lanciano l'avvertimento di un disimpegno.
Il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, già autore del ribaltone del '98, che viene riconosciuto dai giornali come il grande statista capace di andare a Kabul per dimostrare di essere lui il vero punto di equilibrio della coalizione. E così via. Gli esperti di dietrologia ci diranno cioè che quell'«impazziti» era riferito a persone con un nome e con un cognome, considerate decisive all'interno della maggioranza.
Ma questo non basta. Nell'esternazione di Prodi c'è qualcosa di più profondo: c'è un senso di insopportazione nei confronti non solo dei contrasti politici più o meno espliciti interni all'Unione, non solo delle critiche al suo operato venute da ambienti considerati vicini, ma soprattutto verso la legittima opposizione ad una politica economica che una maggioranza di italiani considera pericolosa per i propri interessi, per il proprio lavoro e per l'insieme del Paese.
Allora c'è solo da ammettere che è vero, che siamo impazziti, che non vogliamo il futuro che ci sta preparando il presidente del Consiglio.
Che la nostra pazzia nasce dal rifiuto della felicità imposta per legge, la legge finanziaria, e dal rifiuto parallelo di riconoscere la saggezza e la preveggenza di un uomo solo al comando. Tutti alla scuola di Erasmo, tutti pazzi non per Prodi ma contro di lui.
RENZO FOA

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