mercoledì, novembre 12, 2014

Nota del CNF, in merito ad un articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera.

Arbitri e affidabilità degli arbitrati, CNF: Evitare confusioni e imprecisioni che rischiano di dare informazioni non corrette.
 COMUNICATO STAMPA 
Roma 12/11/2014. Il Corriere della Sera pubblica oggi un articolo nel quale viene attaccata la scelta del Ministro Orlando che, nell’interesse del sistema giustizia, sta cercando di promuovere istituti alternativi al processo, per poter da un lato garantire soluzioni secondo diritto ai cittadini in lite tra loro e dall’altro promuovere un sistema di ricorso al giudice che, venendo meno i carichi processuali eccessivi, dia garanzia di celerità e qualità nelle decisioni.
Si prevede che tali istituti devono, a tutela del cittadino, essere affidati ad operatori del diritto, a professionisti che devono seguire un lungo percorso di studi universitari prima, di tirocinio poi, di esame di abilitazione alla fine, come gli avvocati che sono intesi come “ risorsa” per il Paese proprio in virtù della loro competenza e specifica professionalità.
Oltre alla preparazione “di base”, peraltro, la disciplina in materia di arbitrati di cui all’ultima riforma a cui si riferisce l’articolo, va oltre: pretende infatti una ulteriore particolare qualificazione degli arbitri, attraverso la iscrizione in appositi elenchi che ne garantiscano competenza e professionalità.
Contrariamente a quanto sostenuto nell’articolo, inoltre, sugli arbitri vi è un controllo di natura pubblicistica, in quanto la legge ne attribuisce la nomina e la vigilanza ai consigli dell’Ordine che sono enti pubblici di natura non economica.
Senza contare che i professionisti che si trovano a svolgere la funzione di arbitro sono (e sono sempre stati) esposti a gravi responsabilità risarcitorie, qualora con il loro comportamento, anche solo colposo -e non doloso come nel caso del reato di corruzione - provochino pregiudizio alle parti, così come sono esposti a importanti conseguenze disciplinari, tali da poterne inibire l’esercizio della professione.
Per quanto dall’articolo appaia che l’arbitrato sia una novità per l’ordinamento italiano, esso è invece radicato in esso e disciplinato dal codice di procedura civile; ad esso si fa frequente ricorso, ad esempio da parte delle imprese, proprio per le garanzie di tecnicità e di rapidità che esso offre.
L’altro istituto richiamato dall’articolo, la negoziazione assistita, è noto in altri paesi europei, dove ha dato buona prova di sé, e non è altro che la vestizione più garantita dell’accordo che due parti cercano e trovano prima di rivolgersi al giudice.
In entrambi i casi, mai è impedito alle parti il ricorso al giudice. Sconcerta dunque l’affermazione assoluta e generica per cui gli arbitri vengono definiti corruttibili, non potendo essere perseguiti per il reato di corruzione.
Una cosa è il concetto di corruttibilità, una potenzialità questa che riguarda in astratto chiunque (magistrato, politico, giornalista, arbitro o mediatore) e che è da combattere a tutti i livelli.
Altra cosa sono le categorie del diritto penale, che secoli di elaborazione dottrinaria da parte di grandi giuristi, e di elaborazione giurisprudenziale, anche costituzionale, hanno costruito, e sul punto ci pare che l’articolo faccia molta e grave confusione.
E spesso la confusione corrompe le idee.

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