SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE I CIVILE
Sentenza 23 giugno 2010, n. 15224
Svolgimento del processo
Sentenza 23 giugno 2010, n. 15224
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 6 novembre 2003 la Corte d'appello di Roma, rigettando il gravame proposto dalla Deutsche Bank s.p.a. contro una pronuncia precedentemente emessa dal Tribunale di Roma, confermò la condanna di detta banca a corrispondere alla sig.ra L.V. la somma di L. 10.000.000 quale risarcimento dei danni per l'illegittimo protesto di assegni bancari.
Ritenne infatti la corte romana che il rifiuto opposto dalla banca al pagamento degli assegni emessi su un conto corrente intestato alla predetta sig.ra L., benchè su tale conto esistesse disponibilità adeguata di fondi, non fosse giustificato dall'esistenza di un decreto di sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica, giacchè siffatto decreto si riferiva alla documentazione inerente al conto e non anche ai fondi su di esso depositati. Quando pure dubbi fossero emersi, osservò ancora la corte, la banca avrebbe dovuto chiedere delucidazioni all'autorità giudiziaria, ed avrebbe comunque dovuto informare la correntista prima di bloccare la disponibilità del conto.
Non fu invece accolta l'ulteriore domanda proposta dalla sig.ra L. per ottenere il risarcimento anche del danno alla propria immagine e reputazione nulla essendo stato dedotto a dimostrazione dell'esistenza di un danno siffatto.
Per la cassazione di tale sentenza la Deutsche Bank ha proposto ricorso, articolato in due motivi.
La sig.ra L. si è difesa con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, al quale la Deutsche Bank ha replicato a propria volta con un controricorso. Ambo le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti avvero la medesima decisione debbono essere riuniti, come prescrive l'art. 335 c.p.c..
2. I due motivi di cui consta il ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, perchè ruotano intorno alla medesima questione.
Nel lamentare vizi di motivazione dell'impugnata sentenza e nel denunciare la violazione degli artt. 1218 e 2043 c.c. nonchè artt. 115 e 116 c.p.c., la banca ricorrente sostiene che la valutazione operata dalla corte d'appello, secondo la quale il tenore del decreto penale di sequestro della documentazione bancaria inequivocabilmente escludeva che tale sequestro potesse esser riferito ai fondi esistenti sul conto corrente intestato alla sig.ra L., sarebbe errata in quanto non avrebbe tenuto conto della diversa formulazione della copia del medesimo decreto notificata all'istituto di credito.
Dalla formulazione di quella copia - a parere della banca ricorrente - era del tutto ragionevole dedurre che il sequestro si riferisse alle disponibilità esistenti sul conto della cliente, di talchè il protesto degli assegni da quest'ultima emessi, anche se era poi risultato ingiustificato, non avrebbe potuto essere imputato a colpa dell'istituto di credito, del quale si sarebbe dovuto perciò escludere la responsabilità. 3. Le riferite censure non appaiono meritevoli di accoglimento.
Per il modo stesso in cui le doglianze di parte ricorrente sono formulate, è anzitutto evidente che nessuna violazione di legge (sostanziale o processuale) è da esse neppure astrattamente desumibile.
L'argomento sul quale la difesa della banca si fonda è, infatti, totalmente legato ad un presupposto di fatto, consistente nel diverso tenore della copia del decreto di sequestro penale notificato alla medesima banca, rispetto all'originale preso in esame dalla corte d'appello. In assenza di tale presupposto, non sarebbe neppure in discussione la responsabilità dell'istituto di credito per aver provocato il protesto di assegni forniti di copertura senza che i fondi in deposito sul conto della cliente fossero colpiti da alcun vincolo d'indisponibilità, così come l'impugnata sentenza ha statuito.
Ciò che viene denunciato, e che costituisce il fulcro essenziale della doglianza contenuta nel ricorso, è dunque unicamente la mancata considerazione, da parte della corte territoriale, della suaccennata discrepanza tra la formulazione dell'originale e della copia del decreto di sequestro in base al quale il pagamento degli assegni emessi dalla cliente fu rifiutato.
Non si tratta certo di un errore di diritto, ma, tutt'al più un difetto di motivazione: difetto ipotizzabile, però, solo a condizione che la questione fosse stata sottoposta all'attenzione del giudice di merito dalla difesa della banca, la quale aveva evidentemente l'onere di farlo, essendo a suo carico la prova della non imputabilità dell'inadempimento degli obblighi contrattuali nascenti dal rapporto di conto corrente (art. 1218 c.c.). Soltanto se la questione fosse stata sollevata potrebbe imputarsi alla corte d'appello di non aver spiegato per quale ragione ha ritenuto non sussistente, o non rilevante, la prospettata discrepanza tra il testo dell'originale e quello della copia notificata del decreto.
Ma del fatto che di tale pretesa discrepanza tra originale e copia del decreto si sia mai discusso, nel corso del giudizio di merito, non v'è traccia nè nella motivazione della sentenza impugnata, nè nell'esposizione dello stesso ricorso (e la controricorrente espressamente lo nega).
Deve perciò ritenersi che si tratti di un profilo - di fatto - sollevato per la prima volta in cassazione; e tanto basta per rendere il ricorso inammissibile.
4. La ricorrente incidentale lamenta anch'essa vizi di motivazione del provvedimento impugnato, oltre che la violazione dell'art. 2043 e ss. c.c., art. 2 Cost., artt. 115 e 116 c.p.c..
La censura investe il mancato riconoscimento del danno all'onore, alla reputazione ed all'immagine che la sig.ra L. assume di aver subito in conseguenza del protesto degli assegni di cui s'è detto. Secondo la ricorrente, tale danno, una volta accertata l'illegittimità del protesto, dovrebbe presumersi e potrebbe essere senz'altro liquidato in via equitativa, onde avrebbe errato la corte d'appello nel rigettare la domanda per difetto di prova dell'esistenza del danno stesso.
5. Nemmeno tale doglianza è meritevole di accoglimento. Reputa infatti il collegio di dover dare senz'altro continuità al più recente orientamento di questa corte secondo cui la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all'esistenza di un danno alla reputazione, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non è di per sè sufficiente per la liquidazione del danno medesimo, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del pregiudizio conseguente; elementi, questi, che possono esser provati anche mediante presunzioni semplici, fermo però restando l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l'esistenza e l'entità del pregiudizio (così Cass. 25 marzo 2009, n. 7211).
6. La reiezione tanto del ricorso principale quanto di quello incidentale giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del giudizio di legittimità.
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