La novità è di quelle significative: laddove ci sia stata una convivenza dei coniugi per tre anni non può essere fatta più valere la nullità dell’atto matrimoniale.
Una linea, quella scelta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, che desta qualche perplessità nel presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli:
«Le sentenze ecclesiastiche vengono sottoposte a vincoli ben più restrittivi di quelli che l’ordinamento italiano ha per qualsiasi altra sentenza straniera. E, ciò che è più grave, non si tiene conto della specificità dell’ordinamento canonico».
Come va interpretata questa restrizione?
La pronuncia, intanto, nasce da un contrasto di orientamenti giurisprudenziali della prima sezione della Corte di Cassazione. Le sezioni unite, cioè, sono state chiamate a stabilire un principio di diritto che superasse un conflitto interno. Ora, le sentenze di altri ordinamenti non possono essere eseguite se sono in contrasto con un principio di ordine pubblico. E proprio qui è intervenuta la Cassazione, stabilendo appunto che principio imprescindibile è la convivenza tra coniugi.
Che cosa significa dal punto di vista culturale?
Che il matrimonio inteso come rapporto ha più valore di quello inteso come atto. Mi spiego. Lo spirito del diritto canonico è l’effettivo accertamento della capacità e della volontà genuina delle parti di sposarsi. Il matrimonio nasce e ha alla sua base il consenso: nel profilo canonistico prevale la verità delle cose. In quello statualistico, invece, trionfa la socialità, quello che accade, il fatto che si determina. Ora la Cassazione ci sta dicendo che anche se esiste quel vizio di volontà, ciò che rende valido un matrimonio è l’essere vissuti come coniugi per un certo arco di tempo (e per la precisione 3 anni). La convivenza tra coniugi diventa un valore irrinunciabile legittimando quello che potremmo chiamare un “matrimonio di fatto” e ha tale grado di rilievo e tutela da impedire addirittura che si accerti e dichiari la mancanza di capacità e volontà al momento delle nozze, cioè l’atto consensuale.
Si è detto che questa sentenza potrebbe tuttavia tutelare il coniuge più debole, che in seguito all’annullamento potrebbe, per esempio, non recepire gli alimenti.
Diciamo che la Cassazione va incontro all’esigenza che non ci siano nullità richieste e pronunciate a molta distanza di tempo (e quando ci sono figli di mezzo), magari portate avanti pretestuosamente per ottenere effetti di tipo patrimoniale. Però rimette anche alla scelta di una parte se eccepire l’esistenza o meno di un contrasto con l’ordine pubblico (il vincolo è che la parte in questione lo faccia dal primo atto di giudizio). E qui si apre, sostanzialmente, a una negoziazione di tipo privato. La verità è che questi problemi nascono storicamente da una mancanza dello Stato.
Quale?
La via che si sarebbe dovuta percorrere da molto tempo è una legge matrimoniale attuativa dell’accordo di revisione del Concordato del 1929, che lo Stato unilateralmente avrebbe potuto porre in essere disciplinando puntualmente la procedura e gli effetti patrimoniali della nullità del matrimonio.
Tratto dal sito: www.avvenire.it
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