Il Vangelo secondo Matteo si manifesta con il primo decreto con piglio riformista della giustizia, secretato sino all’ultimo, è stato ieri finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale e da oggi è già in vigore (D.l. 12 settembre 2014, n. 132, Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile).
Lo scopo è la “degiurisdizionalizzazione” (l’Accademia della Crusca se ne dovrà fare una ragione) e di “adottare altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, nonché misure urgenti per la tutela del credito e la semplificazione e accelerazione del processo di esecuzione forzata“.
Occorre guardare il bicchiere mezzo pieno, tralasciando quello mezzo vuoto che forse interverrà nei prossimi 1.000 giorni (se non diverranno a breve 10.000).
Il decreto contiene anche buone novità, ma nell’insieme diviene l’ennesima conferma dell’incapacità del legislatore di scrivere norme secondo i criteri di semplicità, chiarezza, inequivocità. Infatti, vi sono vari articoli (tra cui la negoziazione assistita, da non confondere con la fecondazione assistita, anzi in tal caso l’intento è proprio la non fecondazione del contenzioso giurisdizionale) che sono talmente ampli e complessi che creeranno certamente molteplici problemi di interpretazione ed applicazione, originando dunque altri contenziosi (giurisdizionali).
Ciò a conferma di quanto sostengo da anni, ossia che la prima causa dell’abnorme carico giurisdizionale è lo stesso legislatore, con buona pace per il buon Piercamillo Davigo ossessionato dalla “potentissima lobbie degli avvocati” (talmente potente da essere autolesionista).
Assai positive nel decreto legge tali novità: a) responsabilizzare l’avvocatura nella definizione dei contenziosi (opportunità che dovrà essere affrontata con serietà e competenza dall’avvocatura) prevedendo attraverso la negoziazione assistita (art. 2 e ss.) un filtro prima dell’introduzione della fase giurisdizionale, assicurando a tale accordo l’esecutività (art. 5); b) promuovere un procedimento arbitrale in pendenza della causa (art. 1; ma prima non era certo precluso, ora è solo disciplinato ); c) semplificare la separazione ed il divorzio (resi macigni anche grazie all’illuminato apporto della Chiesa) conferendo all’avvocato e all’ufficiale civile poteri analoghi a quelli giurisdizionali (art. 12); d) incentivare i giudici a passare dal rito ordinario al rito (durata media 3 anni) al rito sommario di cognizione (assai più breve), come previsto dall’art. 14m (ma ricordandoci come il procedimento sommario sia stato vanificato solo dai magistrati che hanno inertizzato tale procedimento, in quanto costretti a studiare una causa e a definirla in poco tempo; con buona pace sempre per Davigo che giudica i magistrati italiani iperefficienti, brillanti e competenti a prescindere); e) attribuire pregnante valenza probatoria alle dichiarazioni rese al difensore (art. 15) così da evitare di dovere sentire il terzo in una udienza ad hoc in giudizio; f) ridurre le ferie dei magistrati a «un periodo annuale di ferie di trenta giorni». (art. 16); g) ridurre la sospensione dei termini feriali ora «dal 6 al 31 agosto di ciascun anno» (art. 16); h) incrementare il saggio degli interessi legali per i debitori che prendono tempo nei contenziosi, sino “a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali” (art. 17).
Assai incerto e discutibile l’annunciata volontà di semplificare il processo esecutivo, ma realizzata con interventi spot senza invece riscriverlo per intero, ponendosi dunque come un mero come lifting di un malato terminale.
Il processo esecutivo va invece semplificato al massimo perché deve tutelare il creditore nel minor tempo possibile e non (come sempre accaduto) garantire il debitore.
Mentre ancora oggi rimane una montagna di adempimenti (temporali, onerosi) enorme e spesso difficile da valicare consentendo al debitore di aprire altre infinite fasi processuali, premiando la sua intraprendenza resistenza.
Nell’insieme dunque che dire? Un discreto inizio, con alcune buone novità, ma tante occasioni sprecate. Un impianto normativo che andava scritto in modo assai più chiaro ed in modo assai più completo.
Manca difatti tutto il resto. I processi civili ordinari andrebbero ridotti nei riti, semplificati negli adempimenti (soppressa l’inutile farsa dell’udienza di precisazione delle conclusioni).
Ma soprattutto occorre pretendere termini perentori per tutti (mentre i magistrati li hanno ordinatori!), prevedere la condanna alle spese esclusivamente per il soccombente (mentre l’Agenzia delle Entrate le pretende solidalmente da entrambe!).
Infine, occorre seriamente mettere mano al settore penale: corruzione, prescrizione etc. L’altra vergogna di questo Paese.
di Marcello Adriano Mazzola | 13 settembre 2014
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