Vittime dei mini-reati con armi spuntate. Non possono bloccare l’assoluzione se il fatto è tenue ed è stato commesso con una azione non abituale. Al massimo il danneggiato può essere ascoltato, ma non ha il diritto di veto.
Questo, tra l’altro, equivale a rendere inefficace il diritto di querela. È l’effetto del decreto legislativo di depenalizzazione dei reati giudicati di scarsa portata offensiva, licenziato in prima lettura dal governo, in attuazione della legge delega 67/2014, e attualmente al vaglio delle commissioni parlamentari.
Il provvedimento rischia, dunque, di lasciare delusa, sulla porta del tribunale penale, la persona offesa dai reati puniti con pena pecuniaria sola o congiunta con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni.
Sulla carta la vittima potrà chiedere il risarcimento del danno con un separato processo civile, ma solo sulla carta.
Anche per le controversie civili di piccolo importo (come prevedibilmente è un risarcimento del danno da mini-reato) le ultime riforme vanno nella direzione di disincentivare il ricorso alla giustizia civile.
Il risultato è che la vittima di un mini-reato non può pretendere dallo stato che il processo penale arrivi a sentenza ed è scoraggiato dal proporre una causa civile.
Si rischia, dunque, che chi commette un reato tenue non venga condannato e non risarcisca la persona offesa.
Illustriamo la questione, prendendo l’esempio della vittima di una piccola truffa e vedendo che cosa capiterà con il decreto legislativo in commento, una volta che sarà definitivo e vigente. La vittima propone una querela e chiede la punizione del colpevole.
Il pubblico ministero fa le indagini e si convince che l’offesa è di particolare tenuità e che il comportamento del responsabile non è abituale.
Attenzione, perché le maglie sono molto larghe.
Il fatto ha una portata offensiva bassa, ma non nulla: offende, ma poco: entro la soglia del massimo della pena, pm e giudici hanno grosso spazio di manovra.
Inoltre, spiega la relazione al dlgs, può fruire del beneficio anche chi ha precedenti, perché si parla di «condotta» non abituale e non di «reato» abituale: quindi, la condotta potrebbe essere non abituale anche se il reato è abituale; e si noti che il reato è abituale è quello commesso dal delinquente «dedito al delitto»; ne deriva che il soggetto dedito al delitto potrebbe tenere una condotta non abituale: è evidente che la discrezionalità del giudice sarà molto ampia nel districarsi tra concetti che sembrano molto simili, se non identici.
In ogni caso, il pm, che ha valutato la tenuità del fatto, chiede l’archiviazione al gip.
La persona offesa, per venire a sapere della richiesta di archiviazione, deve averlo chiesto espressamente nella querela. Quindi se non lo ha chiesto, può essere che il gip archivi all’insaputa della vittima.
Se, invece, la persona offesa ha chiesto di essere avvisata della richiesta di archiviazione, allora, ha la possibilità di presentare opposizione. Ma deve farlo di corsa entro 10 giorni, altrimenti decade. Mettiamo che ci sia stata l’opposizione, viene da chiedersi quanto conta la resistenza della persona offesa.
Conta poco, perché, come spiega la relazione di accompagnamento allo schema di dlgs, la persona offesa non ha «potere di veto». Sul punto il governo si difende dicendo che la legge delega non lo ha previsto e che doveva attenersi a quanto indicato nella legge delega stessa.
Sta di fatto che il gip può archiviare, anche se la persona offesa non è d’accordo.
E se non lo fa il gip, il responsabile potrà essere dichiarato non punibile anche dopo, con sentenza in ogni stato e grado del processo.
Questo, tra l’altro, significa che la querela presentata non ha, in concreto, più effetto.
Non conta la percezione dell’offesa da parte della vittima, conta la valutazione del grado di offesa da parte del magistrato.
Dell’arretramento della tutela si accorge anche la relazione al dlgs che ammette la possibilità «del sacrificio delle ragioni della persona offesa che ben potrebbe essere una piccola e media impresa». Ma, aggiunge, niente di compromesso, perché è sempre possibile chiedere il risarcimento del danno in sede civile.
Ma, attenzione, qui subentrano valutazioni di convenienza: il costo delle liti di importo piccolo, per cui si è verificata una lievitazione del costo del contributo unificato e delle spese (da ultimo la legge di stabilità per il 2015 ha disposto che si pagano le spese di notifica anche per le cause fino a 1.033,00 euro).
In ogni caso davanti al giudice civile, il responsabile utilizzerà la valutazione penale di particolare tenuità del fatto per abbassare il più possibile l’ammontare del danno.
Questo a maggior ragione se la non punibilità sarà dichiarata con sentenza: quella definitiva sarà vincolante anche nel processo civile eventualmente attivato separatamente.
E lo sarà nel senso che sarà incontestabile che il fatto è di particolare tenuità.
Con l’eventualità, quindi, che la valutazione penale finirà per rendere anti economica anche la causa civile per danni.
Antonio Ciccia
(Italia Oggi)
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