I Ministeri hanno vigilato e con una recente allegata hanno rimesso il regolamento a Cassa Forense perché si determini ad apportare le opportune modifiche al regolamento posto al vaglio.
Tentiamo un primo commento.
Il Presidente di Cassa Forense ha già integrato all’uopo l’ordine del giorno del Comitato dei Delegati convocato per il 20 giugno 2014 dichiarando ad Italia Oggi che di semplici chiarimenti si tratterebbe confermandolo con una lettera inviata a tutti gli Ordini proprio in questi giorni.
Forse la nota Ministeriale va valutata con attenzione.
Con la delibera in esame, il Comitato dei Delegati ha adottato un regolamento che, oltre ad individuare le soglie reddituali che danno luogo ad agevolazioni contributive, ha operato una revisione dell’intero assetto previdenziale.
Il regolamento de quo appartiene alla categoria delle fonti giuridiche secondarie, con rilevanza esterna, che, come quelli ministeriali, devono essere conformi alla delega che con la legge 247/2012, fonte primaria, viene conferita a Cassa Forense.
Il regolamento si è allontanato decisamente dai limiti che la legge gli imponeva, disciplinando ipotesi che con l’art. 21, commi 8 e 9, non hanno alcuna connessione né logica né giuridica.
I Ministeri Vigilanti, a mio sommesso avviso, danno atto dell’eccesso di delega nella formulazione del regolamento quando scrivono che ha operato una revisione dell’intero assetto previdenziale.
Questo fa dire ai Ministeri Vigilanti che Cassa Forense dovrà realizzare un percorso di armonizzazione delle discipline fino a pervenire all’unificazione dei regolamenti generali.
Quali sono le norme da intendersi abrogate?
Nell’immediato è necessario però limitare i rinvii interni o almeno esplicitarne in sintesi i contenuti ed in particolare ripensare la formulazione dell’art. 14, comma 2, per il quale «ogni disposizione incompatibile con le norme del presente regolamento si intende abrogata».
Correttamente i Ministeri chiedono di individuare gli specifici interventi abrogativi. In soldoni quali sono le norme da intendersi abrogate?
Per quanto attiene al merito del regolamento i Ministeri rilevano:
- che l’art. 1 del regolamento in esame, che fissa la decorrenza dell’iscrizione obbligatoria alla Cassa alla data di entrata in vigore della riforma di rango primario, ovvero al 02.02.2013, non appare in linea con il quadro normativo di riferimento.
Per i Ministeri Vigilanti non sarebbe ragionevole considerare iscritto ad una Cassa di Previdenza alcun soggetto senza aver prima disciplinato le conseguenze di tale iscrizione, con particolare riferimento alla determinazione dei parametri finalizzati all’individuazione degli oneri economici gravanti sugli assicurati, posto che non potrebbe esservi iscrizione alla Cassa senza il versamento dei contributi.
Con cio’ contraddicendo (confermando quanto da noi sempre sostenuto), sul punto, la ordinanza collegiale emessa in sede di reclamo del Tribunale di Roma.
I Ministeri Vigilanti hanno in tal modo messo in sicurezza i 53.000 avvocati iscritti all’Ordine ma non ancora in Cassa Forense rispetto alle interpretazioni della legge offerte dal management di cassa forense e dal Tribunale di Roma.
Resta invece aperto il problema per i 34.000 giovani avvocati i quali, pur se titolari di redditi inferiori ai minimi previsti per l’iscrizione obbligatoria, si sono comunque iscritti in Cassa Forense e proprio in questi giorni sono raggiunti da una lettera dell’ufficio riscossioni e liquidazioni pensioni di Cassa Forense che intima loro il pagamento dei contributi minimi pari ad € 2.780,00 per contributo minimo soggettivo, € 700,00 per contributo minimo integrativo ed € 151,00 per contributo per l’indennità di maternità.
Su Facebook è stata resa pubblica “la supplica” inviata da una giovane Collega a Cassa Forense con la quale si chiede addirittura la cancellazione ove non si possa rateizzare le annualità di debito contributivo.
Sul punto i Ministeri Vigilanti hanno preso atto della scelta più ampia rispetto al precetto di legge di limitare temporalmente le agevolazioni previste per i percettori di redditi sotto soglia, nell’intento dichiarato di favorire lo start up – in particolare quello giovanile di categoria.
Sarebbe importante che Cassa Forense, nel corso dell’iter di approvazione del regolamento, tranquillizzasse anche questi 34.000 avvocati che, com’è noto a chi scrive, sono angosciati per la volontà di versare la contribuzione e la mancanza di risorse finanziarie.
I Ministeri Vigilanti introducono poi una vera e propria tagliola previdenziale quando sostengono che l’art. 1, comma 4, del proposto regolamento, presenta possibili profili di illegittimità in quanto appare in contrasto con il comma 10 legge n. 247/2012.
Per i Ministeri Vigilanti la disposizione regolamentare sembra consentire ciò che la norma vieta, ovvero la contemporanea iscrizione ad altri Albi professionali con la produzione di redditi diversi rispetto a quelli percuotibili dalla Cassa e, quindi, la contemporanea iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria.
Qui si pone il problema degli avvocati i quali, oltre alla professione forense esercitata con continuità ed effettività, svolgano anche un’altra professione.
Pensiamo agli avvocati giornalisti. Forse che i contributi dovuti in relazione all’altra professione dovranno essere versati a Cassa Forense?
La contemporanea iscrizione ai due albi era consentita ma per l'esercizio di entrambe le professioni era necessario oltre all'estensione della P. IVA per due distinte categorie anche l'iscrizione ad entrambe le Casse di previdenza.
La legge n. 247/2012 ha sovvertito il sistema precedente?
Una prima risposta si può trovare nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 11833/2013) che ha rigettato tutte le censure mosse contro tre distinti provvedimenti di cancellazione dall’Albo degli avvocati per incompatibilità tra libera professione e rapporto di pubblico – dipendente, assunti da tre differenti consigli dell’ordine, decisioni confermate dal Consiglio Nazionale Forense e validate, da ultimo, dalle Sezioni Unite.
Un discorso un po’ diverso va fatto per quanto riguarda i lavoratori part-time.
Infatti, la legge n. 662/1996 al comma 56 prevedeva: «le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l’iscrizione in Albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno» mentre al 56 bis stabiliva: «sono abrogate le disposizioni che vietano l’iscrizione ad Albi e l’esercizio di attività professionali per i soggetti di cui al comma 56. Restano ferme le altre disposizioni in materia di requisiti per l’iscrizione ad Albi professionali e per l’esercizio delle relative attività».
Tuttavia il legislatore, dopo qualche anno, è tornato sulla materia, con particolare riguardo alla professione di avvocato, manifestando un intendimento diverso con la legge n. 339/2003 per la quale all’art. 1 si legge: «le disposizioni di cui all’art. 1, commi 56, 56 bis e 57, della legge 23.12.1996, n. 662 non si applicano all’iscrizione agli Albi degli avvocati per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 oggi riscritto dalla legge 247/2012».
Per la Suprema Corte di Cassazione l’incompatibilità tra impiego pubblico part-time ed esercizio della professione forense risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata e ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro del pubblico dipendente.
Questi ragionamenti valgono anche per altre professioni diverse da quella forense? Ci sono tutti gli avvocati insegnanti!
In considerazione poi degli elementi di forte indeterminatezza di tipo attuariale, i Ministeri Vigilanti chiedono a Cassa Forense di prevedere all’interno del corpo regolamentare, forme di eventuale revisione della soglia reddituale nonché delle agevolazioni in ordine ai minimi contributivi di cui agli artt. 7 e 9, decorso un anno dall’entrata in vigore della novella in esame al fine di garantire, secondo le future valutazioni attuariali, quel monitoraggio assiduo dei flussi contributivi che lo stesso studio attuariale ritiene necessario per disporre di risultati maggiormente significativi, in quanto più conformi alla nuova realtà della professione.
Come si vede non saranno sufficienti delle semplici correzioni integrative ma l’intero regolamento dovrà essere rimeditato e riscritto.
Evidenza delle criticità rilevate per i Ministeri Vigilanti si registra nella scelta operata dalla Cassa di fissare i minimi contributivi per coloro che sono al di sotto dei parametri reddituali, operando un richiamo ai minimi già previsti dal regolamento dei contributi, piuttosto che prevederne di nuovi ed autonomi.
I termini usati dai Ministeri Vigilanti “nuovi ed autonomi” portano a pensare che nel pensiero dei vigilanti vi siano due gestioni separate ed autonome, una per i vecchi iscritti e una per i nuovi caratterizzata questa ultima dal metodo di calcolo contributivo come la legge delega stessa suggerisce.
Tale impostazione troverebbe però il suo esclusivo fondamento nei limiti reddituali e in quanto tale si porrebbe in palese contrasto con l’art. 14 delle CEDU che vieta appunto ogni forma di discriminazione su base censuaria.
Per venirne a capo, secondo noi, non c’è che una strada maestra: l’opzione per tutti al sistema di calcolo contributivo con abolizione dei minimi, introduzione - accanto alla pensione minima - della pensione sociale forense - di importo pari alla pensione sociale INPS da garantire a tutti e contestuale avvio di un piano di ammortamento del debito previdenziale maturato da ripartirsi, proporzionalmente, tra tutti coloro che sin qui ne hanno beneficiato.
Ogni altra soluzione sarebbe un pasticcio dalle ricadute molto pesanti in termini di stabilità economico finanziaria di lungo periodo.
In giuoco vi è il futuro previdenziale di 90 mila avvocati per lo più in giovane età e senza i suoi giovani Cassa Forense non potrebbe avere futuro.
Non dormientibus!
di Paolo Rosa - Avvocato
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