Cassazione Civile Sez. 2 - Ord. Num. 24183/2019 Presidente:
GORJAN -Relatore: SAN GIORGIO - Data pubblicazione: 27/09/2019.
Va premesso che l'art. 118 disp.att.c.p.c. - nel testo
risultante dalla modifica di cui all'art. 52, comma 5, della legge 18 giugno
2009, n. 69 - dispone che la motivazione della sentenza di cui all'art.
132, secondo comma, n. 4, c.p.c. consiste nella succinta esposizione dei fatti
rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con
riferimento a precedenti conformi.
Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza
ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge,
costituzionalmente imposto (Cost., art. Ili, sesto comma), e cioè dell’art.
132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., omette di esporre concisamente i
motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le
ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di
chiarire su quali prove abbia fondato il proprio convincimento e sulla base di
quali argomentazioni sia pervenuto alla propria determinazione, in tal modo
consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta
alligata et probata.
L’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo
convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere
giurisdizionale» e affermazione che ha origini lontane nella giurisprudenza di
questa Corte e precisamente nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del
1947, in cui la Corte precisò che
Alla stregua di tali principi la sanzione di nullità
colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal
punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o
quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del
2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del
tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché, dietro la
parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta
dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le
basi della sua genesi e l'iter logico seguito
per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del
2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare
un «ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga, con un certo
procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato
cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n.
22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
l'omissione
di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di
legge di particolare gravità e che «le decisioni di carattere giurisdizionale
senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v.
anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017, nonché
la giurisprudenza ivi richiamata).
Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da
questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente — e la sentenza è
nulla perché affetta da error in procedendo — quando, benché graficamente
esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione,
perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il
ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento,
non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più
varie, ipotetiche congetture (cfr., ex plurimis, Cass.,n. 20414 del 2018, e la
giurisprudenza ivi richiamata).
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