lunedì, aprile 22, 2019

Il comodato precario e la prova del possesso ad usucapionem.

Cass. Civile Sez. II - Ord. Num. 10469/2019- Presidente: CORRENTI - Relatore: VARRONE - Data pubblicazione: 15/04/2019. 

“Il comodato precario d’un bene immobile costituisce detenzione, non quindi possesso "ad usucapionem", tanto in favore del comodatario quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che il comodatario che s’oppone alla richiesta di risoluzione del comodato sostenendo di aver usucapito il bene non può limitarsi a provare il potere di fatto sull'immobile, ma deve dimostrare l'avvenuta interversione del possesso, cioè il compimento di attività materiali in opposizione al proprietario concedente» (cfr. Cass. Civ. Sez. 6-2, Ord. n. 12080 del 2018).
La presunzione di possesso utile "ad usucapionem", di cui all'art. 1141 cod. civ., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della "res", ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, nella specie un contratto di comodato, poiché in tal caso l'attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario.
Ne consegue che la detenzione di un bene immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali il possesso utile "ad usucapionem" in opposizione al proprietario concedente. Tale prova non poteva consistere nella coltivazione del fondo.
A tal proposito, infatti, deve ribadirsi che ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus"; l'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (cfr. Cass. Civ. Sez. II - Ord. n. 17376 del 2018)”.

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