venerdì, aprile 22, 2016
lunedì, aprile 18, 2016
sabato, aprile 16, 2016
Deontologia: come stabilire se il compenso è sproporzionato ed eccessivo.
“Il compenso può ritenersi sproporzionato od eccessivo ex art. 43 codice deontologico (ora, 29 ncdf) solo al termine di un giudizio di relazione condotto con riferimento a due termini di comparazione, ossia l’attività espletata e la misura della sua remunerazione da ritenersi equa; solo una volta che sia stato quantificato l’importo ritenuto proporzionato può essere formulato il successivo giudizio di sproporzione o di eccessività che, come ovvio, presuppone che la somma richiesta superi notevolmente l’ammontare di quella ritenuta equa”.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Tacchini), sentenza del 11 giugno 2015, n. 87
NOTA: In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (Pres. Alpa, Rel. Tacchini), sentenza del 20 febbraio 2012, n. 17.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Tacchini), sentenza del 11 giugno 2015, n. 87
NOTA: In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (Pres. Alpa, Rel. Tacchini), sentenza del 20 febbraio 2012, n. 17.
venerdì, aprile 08, 2016
lunedì, aprile 04, 2016
Sinistro causato da veicolo non identificato: la prova da offrire in giudizio.
"Secondo l’orientamento assolutamente maggioritario di questa Corte – “nel caso di sinistro stradale causato da veicolo non identificato, l’omessa denuncia dell’accaduto all’autorita’ di polizia od inquirente non e’ sufficiente, in se’, a rigettare la domanda di risarcimento proposta, ai sensi della Legge 24 dicembre 1969, n. 990, articolo 19, nei confronti dell’impresa designata dal Fondo di Garanzia per le vittime della strada; allo stesso modo la presentazione di denuncia o querela contro ignoti non vale, in se’ stessa, a dimostrare che il sinistro sia senz’altro accaduto. Entrambe le suddette circostanze possono, al piu’, costituire meri indizi dell’effettivo avveramento del sinistro” (Cass. n. 20066/2013; cfr. anche Cass. n. 18532/2007 e Cass. n. 23434/2014).
Ribadito che “la vittima di un sinistro stradale causato da un veicolo non identificato non ha alcun obbligo, per ottenere il risarcimento da parte dell’impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada, di presentare una denuncia od una querela contro ignoti, la cui sussistenza o meno non e’ che un mero indizio” (Cass. n. 9939/2012), deve sottolinearsi che l’accertamento da compiere non deve concernere il profilo della diligenza della vittima nel consentire l’individuazione del responsabile, ma esclusivamente la circostanza che il sinistro sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato: questo e’ dunque l’oggetto dell’indagine demandata al giudice di merito, il quale potra’ – ovviamente – tener conto delle modalita’ con cui, fin dall’inizio, il sinistro e’ stato prospettato dalla vittima e del fatto che sia stata presentata una denuncia o una querela, ma cio’ dovra’ fare nell’ambito di una valutazione complessiva degli elementi raccolti e senza possibilita’ di stabilire alcun automatismo fra presentazione della denunzia o querela e accoglimento della pretesa, come pure fra mancata presentazione e rigetto della domanda.
Giova peraltro chiarire – riportando le stesse espressioni usate da Cass. n. 20066/2013 – che “non si intende con questo vincolare in alcun modo il giudice del merito a deposizioni testimoniali che ritenga inattendibili, ne’ precludergli di attribuire determinante rilievo anche all’omessa denuncia ed a quanto dichiarato dalla vittima subito dopo i fatti … ma non e’ consentito fondare sostanzialmente la decisione sulla valenza astratta della omessa denuncia o querela”, omettendo di dar conto (anche al solo fine di escluderne l’attendibilita’) di dichiarazioni testimoniali astrattamente idonee a orientare verso una decisione di segno opposto".
Cassazione, sezione III, sentenza 17 febbraio 2016, n. 3019.
Ribadito che “la vittima di un sinistro stradale causato da un veicolo non identificato non ha alcun obbligo, per ottenere il risarcimento da parte dell’impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada, di presentare una denuncia od una querela contro ignoti, la cui sussistenza o meno non e’ che un mero indizio” (Cass. n. 9939/2012), deve sottolinearsi che l’accertamento da compiere non deve concernere il profilo della diligenza della vittima nel consentire l’individuazione del responsabile, ma esclusivamente la circostanza che il sinistro sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato: questo e’ dunque l’oggetto dell’indagine demandata al giudice di merito, il quale potra’ – ovviamente – tener conto delle modalita’ con cui, fin dall’inizio, il sinistro e’ stato prospettato dalla vittima e del fatto che sia stata presentata una denuncia o una querela, ma cio’ dovra’ fare nell’ambito di una valutazione complessiva degli elementi raccolti e senza possibilita’ di stabilire alcun automatismo fra presentazione della denunzia o querela e accoglimento della pretesa, come pure fra mancata presentazione e rigetto della domanda.
Giova peraltro chiarire – riportando le stesse espressioni usate da Cass. n. 20066/2013 – che “non si intende con questo vincolare in alcun modo il giudice del merito a deposizioni testimoniali che ritenga inattendibili, ne’ precludergli di attribuire determinante rilievo anche all’omessa denuncia ed a quanto dichiarato dalla vittima subito dopo i fatti … ma non e’ consentito fondare sostanzialmente la decisione sulla valenza astratta della omessa denuncia o querela”, omettendo di dar conto (anche al solo fine di escluderne l’attendibilita’) di dichiarazioni testimoniali astrattamente idonee a orientare verso una decisione di segno opposto".
Cassazione, sezione III, sentenza 17 febbraio 2016, n. 3019.
domenica, aprile 03, 2016
Deontologia: Il CNF non è parte del giudizio d’impugnazione delle proprie sentenze.
“Nel giudizio di impugnazione delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense dinanzi alla Corte di cassazione, contraddittori necessari – in quanto unici portatori dell’interesse a proporre impugnazione e a contrastare l’impugnazione proposta – sono unicamente il soggetto destinatario del provvedimento impugnato, il consiglio dell’ordine locale che ha deciso in primo grado in sede amministrativa ed il P.M. presso la Corte di cassazione, mentre tale qualità non può legittimamente riconoscersi al Consiglio Nazionale Forense, per la sua posizione di terzietà rispetto alla controversia, essendo l’organo che ha emesso la decisione impugnata (Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima, la Corte ha preliminarmente dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui notificato e proposto nei confronti anche del Consiglio Nazionale Forense)”.
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Nobile), SS.UU, sentenza n. 9032 del 18 aprile 2014
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Di Iasi), SS.UU, sentenza n. 3670 del 9 febbraio 2015
Corte di Cassazione (pres. Rodorf, rel. Rodorf), SS.UU, sentenza n. 8572 del 28 aprile 2015
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Di Palma), SS.UU, sentenza n. 11294 del 1° giugno 2015
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Ambrosio), SS.UU, sentenza n. 23540 del 18 novembre 2015
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Nobile), SS.UU, sentenza n. 9032 del 18 aprile 2014
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Di Iasi), SS.UU, sentenza n. 3670 del 9 febbraio 2015
Corte di Cassazione (pres. Rodorf, rel. Rodorf), SS.UU, sentenza n. 8572 del 28 aprile 2015
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Di Palma), SS.UU, sentenza n. 11294 del 1° giugno 2015
Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Ambrosio), SS.UU, sentenza n. 23540 del 18 novembre 2015
martedì, marzo 29, 2016
Deontologia: sospensione del procedimento disciplinare per pregiudizialità penale.
“La sospensione del procedimento disciplinare per pregiudizialità penale può essere disposta, ex art. 295 c.p.c, in caso di identità dei fatti, nella sola ipotesi in cui sia stata esercitata dal P.M. l’azione penale nei modi di cui all’art. 405 c.p.p. con la formulazione dell’imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio. Conseguentemente, non sussistesse alcun obbligo di far luogo alla sospensione del disciplinare nel caso in cui il procedimento penale sia ancora nella fase delle indagini preliminari”.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Picchioni), sentenza del 28 aprile 2015, n. 67.
NOTA: In senso conforme, Cass. Civ. 10974/2012. In arg. cfr. pure l’art. 54 L. n. 247/2012.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Picchioni), sentenza del 28 aprile 2015, n. 67.
NOTA: In senso conforme, Cass. Civ. 10974/2012. In arg. cfr. pure l’art. 54 L. n. 247/2012.
venerdì, marzo 25, 2016
Deontologia: Il diritto-dovere di difesa non giustifica l’uso di espressioni sconvenienti ed offensive.
“Benche´ l’avvocato possa e debba utilizzare fermezza e toni accesi nel sostenere la difesa della parte assistita o nel criticare e contrastare le decisioni impugnate, tale potere/dovere trova un limite nei doveri di probita` e lealta`, i quali non gli consentono di trascendere in comportamenti non improntati a correttezza e prudenza, se non anche offensivi, che ledono la dignita` della professione, giacché la liberta` che viene riconosciuta alla difesa della parte non puo` mai tradursi in una licenza ad utilizzare forme espressive sconvenienti e offensive nella dialettica processuale, con le altre parti e il giudice, ma deve invece rispettare i vincoli imposti dai doveri di correttezza e decoro (Nel caso di specie, l’incolpato aveva affermato ad alta voce in udienza che “una cosa del genere non l’aveva mai vista in 48 anni di professione”, quindi intimato al giudice dell’esecuzione di sospendere subito la procedura altrimenti lo avrebbe “denunciato al Consiglio Superiore della Magistratura, al ministro dell Giustizia ed avrebbe fatto venire gli ispettori”)”.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Damascelli), sentenza del 20 aprile 2015, n. 61
NOTA: In senso conforme, tra le altre Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Borsacchi), sentenza del 2 ottobre 2014, n. 127
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Damascelli), sentenza del 20 aprile 2015, n. 61
NOTA: In senso conforme, tra le altre Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Borsacchi), sentenza del 2 ottobre 2014, n. 127
lunedì, marzo 21, 2016
mercoledì, marzo 16, 2016
venerdì, marzo 11, 2016
IL PREGIUDIZIO DI MATTEO RENZI NEI CONFRONTI DEGLI AVVOCATI.
"CI VUOLE UNA ITALIA CHE CORRE, NON CHE INGRASSA I CONTI CORRENTI DEGLI AVVOCATI CON CAUSE SU CAUSE SU CAUSE".
IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI dichiarazione del 10.03.16 di Matteo Renzi (inaugurazione tunnel Salerno - Reggio Calabria).
Egregio Presidente,
ancora una volta riscontriamo una Sua dichiarazione infelice nei confronti degli avvocati.
Se non provvederanno i tanti avvocati che compongono il Suo staff a spiegarLe il prezioso ruolo che l'Avvocatura svolge in Italia, in attesa di una presa di posizione delle istituzioni forensi preposte, saremo noi ad evidenziarLe che gli avvocati sono attuatori dei diritti dei cittadini e delle imprese e ne tutelano gli interessi contro provvedimenti della pubblica amministrazione quando questi sono ingiusti, aberranti, sbagliati, dannosi per l'interesse pubblico che se non corretti attraverso un ricorso, proposto proprio da un avvocato, potrebbero determinare danni, sprechi di denaro, inefficienze se non vere e proprie tragedie.
Se i bandi fossero scritti bene, se le aggiudicazioni fossero trasparenti sempre, se gli amministratori fossero tutti competenti, se i politici scrivessero bene le norme ... anche in quel caso non si potrebbe fare a meno degli avvocati perché sarebbero coloro i quali difendono le amministrazioni ed i politici stessi in Tribunale dalle accuse ingiuste.
Inoltre, Le sfugge che purtroppo i conti correnti degli avvocati non sono "grassi", tantomeno quelli dei professionisti che non sono pagati dal proprio cliente perché questo a sua volta non e' stato pagato dalla pubblica amministrazione nonostante le promesse, per non parlare di coloro i quali aspettano da anni il pagamento da parte dello stato degli onorari, liquidati con importi inconferenti, per avere difeso i meno abbienti.
Presidente Renzi, finiamola con questo qualunquismo e contribuiamo a risollevare questo Paese insieme, senza pregiudizi. Gli avvocati non sono il problema ma la soluzione.
Taluni politici? Buon lavoro.
Avv. Massimiliano Cesali
(Movimento Forense)
IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI dichiarazione del 10.03.16 di Matteo Renzi (inaugurazione tunnel Salerno - Reggio Calabria).
Egregio Presidente,
ancora una volta riscontriamo una Sua dichiarazione infelice nei confronti degli avvocati.
Se non provvederanno i tanti avvocati che compongono il Suo staff a spiegarLe il prezioso ruolo che l'Avvocatura svolge in Italia, in attesa di una presa di posizione delle istituzioni forensi preposte, saremo noi ad evidenziarLe che gli avvocati sono attuatori dei diritti dei cittadini e delle imprese e ne tutelano gli interessi contro provvedimenti della pubblica amministrazione quando questi sono ingiusti, aberranti, sbagliati, dannosi per l'interesse pubblico che se non corretti attraverso un ricorso, proposto proprio da un avvocato, potrebbero determinare danni, sprechi di denaro, inefficienze se non vere e proprie tragedie.
Se i bandi fossero scritti bene, se le aggiudicazioni fossero trasparenti sempre, se gli amministratori fossero tutti competenti, se i politici scrivessero bene le norme ... anche in quel caso non si potrebbe fare a meno degli avvocati perché sarebbero coloro i quali difendono le amministrazioni ed i politici stessi in Tribunale dalle accuse ingiuste.
Inoltre, Le sfugge che purtroppo i conti correnti degli avvocati non sono "grassi", tantomeno quelli dei professionisti che non sono pagati dal proprio cliente perché questo a sua volta non e' stato pagato dalla pubblica amministrazione nonostante le promesse, per non parlare di coloro i quali aspettano da anni il pagamento da parte dello stato degli onorari, liquidati con importi inconferenti, per avere difeso i meno abbienti.
Presidente Renzi, finiamola con questo qualunquismo e contribuiamo a risollevare questo Paese insieme, senza pregiudizi. Gli avvocati non sono il problema ma la soluzione.
Taluni politici? Buon lavoro.
Avv. Massimiliano Cesali
(Movimento Forense)
venerdì, marzo 04, 2016
GDP penale: la mancata comparizione del querelante non integra una remissione tacita, ex art. 152 c.p..
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 dicembre 2015 – 2 marzo 2016, n. 8408.
“Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione disposta dal PM, D. Lgs. n. 274 del 2000, ex art. 20 la mancata comparizione del querelante - finanche se previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della querela - non costituisce fatto incompatibile con la volontà di persistere nella stessa, sì da integrare la remissione tacita, ai sensi dell'art. 152 c.p., comma 2 (S.U. n. 26 del 30.10.2008, PG c/o Viele, rv. 241357).
Infatti, la sanzione dell'improcedibilità per mancata presenza del querelante nel processo è positivamente disciplinata nell'ordinamento vigente solo nel caso previsto dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 28, comma 3 (disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace).
L'ipotesi è quella della mancata comparizione delle persone offese, alle quali il decreto di comparizione delle parti - che ha nelle sue premesse il ricorso immediato della persona offesa - sia stato regolarmente notificato ai sensi dell'art. 27, comma 4; per espressa previsione normativa, la mancata comparizione equivale a rinuncia al diritto di querela ovvero alla remissione della querela, qualora sia stata già presentata.
Nel caso che occupa, l'imputato è stato tratto a giudizio con decreto di citazione emesso dal P.M., sicché si è fuori del campo di applicazione dell'istituto della rimessione disciplinato dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 28, comma 3.
Oltre il perimetro di tale specifica ipotesi positivamente disciplinata e, pertanto, sotto il generale profilo delineato dall'art. 152 cod. pen. (al quale il giudice ha fatto esplicito riferimento), non è affatto previsto dalla legge che la mancata presentazione nel processo, pur in presenza di espresso avviso dei giudice in tal senso, possa comportare l'improcedibilità dell'azione penale per ritenuta remissione tacita della querela.
Com'è noto, infatti, l'art. 152 c.p., comma 2, dopo aver premesso che "la remissione è processuale o extraprocessuale", dispone che "la remissione extraprocessuale è espressa o tacita" e che "vi è remissione tacita quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela". », quindi, evidente che deve trattarsi di "fatti" cioè di comportamenti che rilevano nel mondo esterno, che come opportunamente precisa la sentenza delle S.U. innanzi richiamata, "non rimangano confinati nel limbo di eventuali stati d'animo, di meri orientamenti eventualmente internamente programmati".
Può aggiungersi, che la natura extraprocessuale della remissione implica che essa non può consistere in atti o comportamenti "nel procedimento" di cui trattasi, dovendo appunto essersi concretizzati all'esterno di tale procedimento.
Va, perciò, riaffermato il principio di diritto secondo cui, all'infuori dell'ipotesi espressamente e specificamente disciplinata dal D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 21, 28 e 30, la mancata comparizione del querelante nel processo, nonostante la sollecitazione a comparire fattagli dal giudice procedente, non configura una remissione tacita di querela, esclusa del resto quella espressa per assoluta mancanza dei relativi requisiti di legge. 44".
“Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione disposta dal PM, D. Lgs. n. 274 del 2000, ex art. 20 la mancata comparizione del querelante - finanche se previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della querela - non costituisce fatto incompatibile con la volontà di persistere nella stessa, sì da integrare la remissione tacita, ai sensi dell'art. 152 c.p., comma 2 (S.U. n. 26 del 30.10.2008, PG c/o Viele, rv. 241357).
Infatti, la sanzione dell'improcedibilità per mancata presenza del querelante nel processo è positivamente disciplinata nell'ordinamento vigente solo nel caso previsto dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 28, comma 3 (disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace).
L'ipotesi è quella della mancata comparizione delle persone offese, alle quali il decreto di comparizione delle parti - che ha nelle sue premesse il ricorso immediato della persona offesa - sia stato regolarmente notificato ai sensi dell'art. 27, comma 4; per espressa previsione normativa, la mancata comparizione equivale a rinuncia al diritto di querela ovvero alla remissione della querela, qualora sia stata già presentata.
Nel caso che occupa, l'imputato è stato tratto a giudizio con decreto di citazione emesso dal P.M., sicché si è fuori del campo di applicazione dell'istituto della rimessione disciplinato dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 28, comma 3.
Oltre il perimetro di tale specifica ipotesi positivamente disciplinata e, pertanto, sotto il generale profilo delineato dall'art. 152 cod. pen. (al quale il giudice ha fatto esplicito riferimento), non è affatto previsto dalla legge che la mancata presentazione nel processo, pur in presenza di espresso avviso dei giudice in tal senso, possa comportare l'improcedibilità dell'azione penale per ritenuta remissione tacita della querela.
Com'è noto, infatti, l'art. 152 c.p., comma 2, dopo aver premesso che "la remissione è processuale o extraprocessuale", dispone che "la remissione extraprocessuale è espressa o tacita" e che "vi è remissione tacita quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela". », quindi, evidente che deve trattarsi di "fatti" cioè di comportamenti che rilevano nel mondo esterno, che come opportunamente precisa la sentenza delle S.U. innanzi richiamata, "non rimangano confinati nel limbo di eventuali stati d'animo, di meri orientamenti eventualmente internamente programmati".
Può aggiungersi, che la natura extraprocessuale della remissione implica che essa non può consistere in atti o comportamenti "nel procedimento" di cui trattasi, dovendo appunto essersi concretizzati all'esterno di tale procedimento.
Va, perciò, riaffermato il principio di diritto secondo cui, all'infuori dell'ipotesi espressamente e specificamente disciplinata dal D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 21, 28 e 30, la mancata comparizione del querelante nel processo, nonostante la sollecitazione a comparire fattagli dal giudice procedente, non configura una remissione tacita di querela, esclusa del resto quella espressa per assoluta mancanza dei relativi requisiti di legge. 44".
Si cumulano le procedure di negoziazione assistita e di mediaconciliazione (Trib. Verona Ord. del 23 dic. 2015).
N.8194 /2015
Ha pronunciato la seguente
A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 17 dicembre 2015;
quanto all’ulteriore corso del giudizio, la presente controversia rientra tra quelle per le quali, ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010, la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda, cosicchè va assegnato alle parti il termine per la presentazione della corrispondente istanza; a tale sviluppo non osta la circostanza che, prima di depositare il ricorso monitorio, l’Inyyyy avesse inviato alla Le Dixxxx un invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita, rimasto privo di riscontro, evidentemente sull’erroneo presupposto che la sua pretesa, dato il quantum, fosse soggetta ex lege a tale procedura;
occorre infatti rammentare che l’art. 3, comma 5 primo periodo del d.l. 132/2014, convertito nella legge 162/2014, prevede che: “Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di mediazione e conciliazione, comunque denominati...”;
tale norma impone espressamente il cumulo tra negoziazione assistita obbligatoria e procedure stragiudiziali obbligatorie, per legge o per previsione contrattuale o statutaria, salvo che la controversia non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex lege, perché in tal caso solo questa procedura va esperita;
per essere ancora più chiari: l’esito negativo di una procedura stragiudiziale prevista obbligatoriamente per una determinata controversia non esonera le parti dall’esperimento della negoziazione assistita che sia prevista per quella stessa controversia e viceversa;
è evidente peraltro, pur in mancanza di una chiara previsione normativa, che lo steso iter va seguito nel caso, come quello di specie, in cui in relazione ad una controversia soggetta a mediazione obbligatoria sia stata prima esperita una negoziazione assistita facoltativa;
del resto una simile sequenza non appare in astratto inutilmente dilatoria, a differenza di quella inversa (negoziazione esperita dopo il fallimento della mediazione) poiché consente il passaggio ad una procedura stragiudiziale che presenta un valore aggiunto rispetto alla prima, costituito dall’intervento di un terzo imparziale, che può favorire l’esto conciliativo;
Verona 23 dicembre 2015
Tribunale Ordinario di Verona
TERZA SEZIONE CIVILE
Il giudice dott. Massimo VaccariHa pronunciato la seguente
ORDINANZA
Nella causa tra LE DIXXX DI GB S.R.L.
Contro
INYYYYY MAYYYY.A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 17 dicembre 2015;
RILEVATO CHE
(OMISSIS)quanto all’ulteriore corso del giudizio, la presente controversia rientra tra quelle per le quali, ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010, la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda, cosicchè va assegnato alle parti il termine per la presentazione della corrispondente istanza; a tale sviluppo non osta la circostanza che, prima di depositare il ricorso monitorio, l’Inyyyy avesse inviato alla Le Dixxxx un invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita, rimasto privo di riscontro, evidentemente sull’erroneo presupposto che la sua pretesa, dato il quantum, fosse soggetta ex lege a tale procedura;
occorre infatti rammentare che l’art. 3, comma 5 primo periodo del d.l. 132/2014, convertito nella legge 162/2014, prevede che: “Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di mediazione e conciliazione, comunque denominati...”;
tale norma impone espressamente il cumulo tra negoziazione assistita obbligatoria e procedure stragiudiziali obbligatorie, per legge o per previsione contrattuale o statutaria, salvo che la controversia non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex lege, perché in tal caso solo questa procedura va esperita;
per essere ancora più chiari: l’esito negativo di una procedura stragiudiziale prevista obbligatoriamente per una determinata controversia non esonera le parti dall’esperimento della negoziazione assistita che sia prevista per quella stessa controversia e viceversa;
è evidente peraltro, pur in mancanza di una chiara previsione normativa, che lo steso iter va seguito nel caso, come quello di specie, in cui in relazione ad una controversia soggetta a mediazione obbligatoria sia stata prima esperita una negoziazione assistita facoltativa;
del resto una simile sequenza non appare in astratto inutilmente dilatoria, a differenza di quella inversa (negoziazione esperita dopo il fallimento della mediazione) poiché consente il passaggio ad una procedura stragiudiziale che presenta un valore aggiunto rispetto alla prima, costituito dall’intervento di un terzo imparziale, che può favorire l’esto conciliativo;
P.Q.M.
Concede la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto e assegna alle parti il termine di quindici giorni dalla comunicazione del presente provvedimento per presentare l’istanza di mediazione e rinvia la causa all’udienza del 19 maggio 2016.Verona 23 dicembre 2015
giovedì, marzo 03, 2016
domenica, febbraio 28, 2016
sabato, febbraio 27, 2016
lunedì, febbraio 22, 2016
Gettoni di presenza al CNF: AIGA Salerno chiede chiarimenti al COA di Salerno ed al Consigliere del CNF Avv. Salvatore Sica.
Di seguito il testo della Pec inviata da Aiga Salerno al Coa Salerno in merito al "Regolamento Rimborsi Spese e Gettoni di Presenza":
On.le
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati
di Salerno
Oggetto: Delibera Consiglio Nazionale Forense del giorno 11 dicembre 2015 – richiesta chiarimenti rappresentante territoriale presso il Consiglio Nazionale Forense – richiesta convocazione assemblea straordinaria degli Avvocati iscritti all’Ordine di Salerno – assunzione di impegno alla richiesta di revoca.
Preg.mo Signor Presidente e Signori Consiglieri,
è stata reso noto, solo alla data di ieri 18 febbraio 2016, il regolamento adottato dal Consiglio Nazionale Forense lo scorso 11 dicembre rubricato “Regolamento Rimborsi Spese e Gettoni di Presenza”.
In un momento storico e socioeconomico in cui tutta l’Avvocatura vive un gravissimo disagio che ha portato a migliaia di colleghi addirittura alla cancellazione dall’Albo professionale, la scelta di applicare norme contenute agli articoli 3 e 4 del detto regolamento, che prevedono ingenti indennità, dai € 90.000,00 ai € 50.000,00 per i componenti dell’Ufficio di Presidenza, e di € 650,00 per ciascuna seduta stanziato in favore dei propri Consiglieri Nazionali, appare gravemente inopportuna oltreché incompatibile con lo spirito volontaristico che ha sempre contraddistinto l’assunzione di un incarico da parte di Avvocati che, in assoluta libertà, hanno ritenuto di candidarsi per ricoprire quei ruoli nella piena consapevolezza della sostanziale gratuità.
La sezione AIGA di Salerno, raccolte le numerosissime istanze dei soci e di tanti avvocati che, pur non facenti parte – per raggiunti limiti di età – della nostra associazione, hanno inteso condividere con noi il loro sgomento per quanto accaduto, visto il sostegno che da sempre codesto On.le Consiglio dell’Ordine ha mostrato per la tutela di tutta l’Avvocatura, ed in particolare della Giovane avvocatura, chiede che al più presto venga convocata un’assemblea straordinaria di tutti gli iscritti al Foro di Salerno in occasione della quale l’Avvocato Salvatore Sica, rappresentante territoriale per il Distretto della Corte d’Appello di Salerno presso il Consiglio Nazionale Forense, possa fornire chiarimenti e motivazioni riguardo l’approvazione del sopracitato regolamento varato lo scorso 11 dicembre.
Chiediamo altresì che, in occasione della soprarichiesta assemblea, venga posta all’ordine del giorno la revoca del regolamento sopraindicato e che codesto On.le Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno si faccia portavoce, presso le sedi competenti, anche per il tramite dell’Avvocato Salvatore Sica, della posizione assunta dagli Avvocati del Foro di Salerno.
Aiga Salerno
Il Presidente
Avv. Giovanni Balbi
giovedì, febbraio 18, 2016
sabato, febbraio 13, 2016
mercoledì, febbraio 10, 2016
Un giornale di politica per gli avvocati: sono contrario.
Dall'ultimo bilancio consuntivo (2014) del Consiglio Nazionale Forense risulta che i ricavi per i contributi degli avvocati italiani ammontano ad € 9.871.373 (a testa: € 25,83 per gli ordinari ed € 51,66 per i cassazionisti), con un avanzo di gestione di € 2.148.288, che contribuisce ad incrementare il patrimonio netto accumulato alla non indifferente somma di € 18.453.136.
I dati dimostrano che il CNF sta accumulando denaro degli avvocati contribuenti senza sapere dove metterli. Se a ciò si aggiunge che i crediti verso gli Ordini Forensi hanno raggiunto la bella cifra di € 11.352.573, di cui € 4.396.171 per crediti oltre i dodici mesi ed € 6.929.386 entro i 12 mesi, non è chi non veda che qualche cosa non funziona.
Come è possibile che un ente amministrativo al quale tutti gli avvocati sono obbligati ad iscriversi tramite gli Ordini territoriali per poter esercitare la professione, possa accumulare un patrimonio di tale entità senza avere programmi di investimento a vantaggio di tutta la categoria?
Qualcuno deve aver pensato la stessa cosa ed allora, la notizia è sconvolgente, è nata l'idea di editare "un giornale di informazione, completo, che si occuperà di politica e di giustizia, di esteri, di cronaca, di cultura e di spettacoli".
Infatti sul sito del CNF del 18 dicembre 2015 si leggeva questo titolo: "Nasce 'Il Dubbio' - L'informazione garantista – Quotidiano dell'avvocatura". Quale mezzo più efficace per spendere gli avanzi di gestione e azzerare il patrimonio accumulato e quello da recuperare?
Infatti, subito dopo l'annuncio, sono state acquisiti altri dati interessanti: a) il quotidiano avrà una redazione di una dozzina di persone guidata dal direttore Piero Sansonetti, giornalista che ha condiretto, diretto e fondato vari giornali di sinistra come "L'Unità", "Liberazione", "Gli Altri" e, da ultimo, "Il Garantista", quotidiano morto e sepolto dopo circa un anno di vita stentata, e che è stato accusato persino di "funzionalità berlusconiana"; b) avrà una tiratura di 6.000/10.000 copie distribuite in edicola in una decina delle principali città italiane al prezzo di € 1,50; c) per stampa e distribuzione sono previste spese annue di circa € 1.600.000,00.
Ma non sono queste le notizie che preoccupano di più l'avvocatura italiana, bensì che un organo giurisdizionale (il CNF è un giudice speciale le cui sentenze sono pronunciate "In nome del popolo italiano" e possono essere impugnate avanti le Sezioni Unite della Corte di Cassazione) pensi di distribuire un giornale quotidiano che si occupa di 'politica', che dovrà avere una linea, per l'appunto, 'politica'.
E quale sarà questa linea, che dovrebbe rappresentare il punto di vista politico di 235 mila avvocati, di cui il CNF pretende di essere, quanto meno, il portavoce? Quella del presidente? Quella dei suoi 33 consiglieri, eletti (si presume) per le loro competenze giuridiche e deontologiche e non certo per le loro idee politiche? Oppure del suo direttore?
Quale che sia la linea politica del quotidiano, è evidente che si scateneranno conflitti inconciliabili nell'ambito dell'avvocatura italiana, già da sempre divisa su quasi tutto.
Senza contare che il mio giudice naturale mi sanziona o mi assolve, ma non mi impone le sue scelte di politica forense (non parliamo di scelte di politica generale).
E' come se, ad esempio, la Corte di Cassazione o il CSM pubblicassero un quotidiano 'politico'.
di Avv. Carlo Dolci
L’ECO DI BERGAMO
I dati dimostrano che il CNF sta accumulando denaro degli avvocati contribuenti senza sapere dove metterli. Se a ciò si aggiunge che i crediti verso gli Ordini Forensi hanno raggiunto la bella cifra di € 11.352.573, di cui € 4.396.171 per crediti oltre i dodici mesi ed € 6.929.386 entro i 12 mesi, non è chi non veda che qualche cosa non funziona.
Come è possibile che un ente amministrativo al quale tutti gli avvocati sono obbligati ad iscriversi tramite gli Ordini territoriali per poter esercitare la professione, possa accumulare un patrimonio di tale entità senza avere programmi di investimento a vantaggio di tutta la categoria?
Qualcuno deve aver pensato la stessa cosa ed allora, la notizia è sconvolgente, è nata l'idea di editare "un giornale di informazione, completo, che si occuperà di politica e di giustizia, di esteri, di cronaca, di cultura e di spettacoli".
Infatti sul sito del CNF del 18 dicembre 2015 si leggeva questo titolo: "Nasce 'Il Dubbio' - L'informazione garantista – Quotidiano dell'avvocatura". Quale mezzo più efficace per spendere gli avanzi di gestione e azzerare il patrimonio accumulato e quello da recuperare?
Infatti, subito dopo l'annuncio, sono state acquisiti altri dati interessanti: a) il quotidiano avrà una redazione di una dozzina di persone guidata dal direttore Piero Sansonetti, giornalista che ha condiretto, diretto e fondato vari giornali di sinistra come "L'Unità", "Liberazione", "Gli Altri" e, da ultimo, "Il Garantista", quotidiano morto e sepolto dopo circa un anno di vita stentata, e che è stato accusato persino di "funzionalità berlusconiana"; b) avrà una tiratura di 6.000/10.000 copie distribuite in edicola in una decina delle principali città italiane al prezzo di € 1,50; c) per stampa e distribuzione sono previste spese annue di circa € 1.600.000,00.
Ma non sono queste le notizie che preoccupano di più l'avvocatura italiana, bensì che un organo giurisdizionale (il CNF è un giudice speciale le cui sentenze sono pronunciate "In nome del popolo italiano" e possono essere impugnate avanti le Sezioni Unite della Corte di Cassazione) pensi di distribuire un giornale quotidiano che si occupa di 'politica', che dovrà avere una linea, per l'appunto, 'politica'.
E quale sarà questa linea, che dovrebbe rappresentare il punto di vista politico di 235 mila avvocati, di cui il CNF pretende di essere, quanto meno, il portavoce? Quella del presidente? Quella dei suoi 33 consiglieri, eletti (si presume) per le loro competenze giuridiche e deontologiche e non certo per le loro idee politiche? Oppure del suo direttore?
Quale che sia la linea politica del quotidiano, è evidente che si scateneranno conflitti inconciliabili nell'ambito dell'avvocatura italiana, già da sempre divisa su quasi tutto.
Senza contare che il mio giudice naturale mi sanziona o mi assolve, ma non mi impone le sue scelte di politica forense (non parliamo di scelte di politica generale).
E' come se, ad esempio, la Corte di Cassazione o il CSM pubblicassero un quotidiano 'politico'.
di Avv. Carlo Dolci
L’ECO DI BERGAMO
lunedì, febbraio 08, 2016
Deontologia: L’avvocato non può mettersi in contatto diretto con la controparte che sappia assistita da altro legale.
Costituisce comportamento deontologicamente scorretto prendere accordi diretti con la controparte, quando sia noto che la stessa è assistita da altro collega (art. 27 cdf, ora art. 41 ncdf).
Tale precetto deontologico si riferisce alla intera “assistenza” da parte del legale di controparte a quest’ultima, che (in assenza di revoca o nomina di altro difensore) deve ritenersi estesa anche alle attività immediatamente successive e dipendenti dalla decisione giudiziaria, ancorché il mandato ad litem conferito dal difensore della controparte abbia cessato la sua funzione con la conclusione del grado del processo.
(Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima è stata inflitta la sanzione dell’avvertimento).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Ferina), sentenza del 29 dicembre 2014, n. 211 NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f Vermiglio, rel. Baffa), sentenza del 10 aprile 2013, n. 61.
Tale precetto deontologico si riferisce alla intera “assistenza” da parte del legale di controparte a quest’ultima, che (in assenza di revoca o nomina di altro difensore) deve ritenersi estesa anche alle attività immediatamente successive e dipendenti dalla decisione giudiziaria, ancorché il mandato ad litem conferito dal difensore della controparte abbia cessato la sua funzione con la conclusione del grado del processo.
(Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima è stata inflitta la sanzione dell’avvertimento).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Ferina), sentenza del 29 dicembre 2014, n. 211 NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f Vermiglio, rel. Baffa), sentenza del 10 aprile 2013, n. 61.
domenica, febbraio 07, 2016
giovedì, febbraio 04, 2016
martedì, febbraio 02, 2016
La giustizia difensiva che peggiora la vita al cittadino.
E’ notorio come da tempo esista la medicina difensiva, con lo scopo di irrigidire le prescrizioni mediche impartite dal medico, al fine di sottrarsi da eventuali azioni di responsabilità.
Peccato come sia oramai altrettanto noto come una tale prassi costi molto di più al Sistema sanitario e spesso peggiori la vita del paziente (esposto a più analisi, più cure farmacologiche etc.).
Ecco qualcosa di simile oramai esiste anche nel sistema Giustizia.
Il sistema reagisce infatti alle azioni (giurisdizionali, ergo cause) con soluzioni assai discutibili, invece che riorganizzarsi e rendersi più efficiente.
Partiamo dai falsi luoghi comuni, oramai recitati e ripetuti come mantra fino a farli credere come veri: 1) abbiamo oltre 6 milioni di cause pendenti nel processo civile: a parte il fatto che dichiarare che si sia affetti da metastasi serve a ben poco ove non si proceda a verificare quali siano le cause reali, ove si consideri che la Pubblica Amministrazione inefficiente è la prima fonte di cause (es. contro l’Inps, contro le Agenzie delle Entrate che agiscono temerariamente e senza contraddittorio etc.); in realtà il numero attuale è di poco oltre 4 milioni, come ha di recente relazionato il dott. Barbuto al Ministero della Giustizia; 2) in Italia l’elevato numero dei processi lo si deve al numero abnorme di avvocati: che sia elevato (attualmente circa 215.000) è indiscutibile ma non vi è alcuna correlazione scientifica così come ha sottolineato personalmente il Guardasigilli di recente (Rimini, ottobre 2015); 3) gli italiani son troppo litigiosi, tesi scientifica smentita dai numeri, sempre dal dott. Barbuto al Ministero della Giustizia di recente; 4) i giudici italiani hanno le performance migliori d’Europa, altra tesi assai discutibile ove si pensi al recente caso del giudice che nel rinviare una causa alle calende greche (2019) si autogiustificava asserendo che avesse già carichi di lavoro che non potevano certo sfociare in ritmi da schiavismo in contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo. Ora si pensi come nel suddetto carico ogni giudice contempli almeno ¼ (sino a 1/3) di udienze fuffa (così dette di precisazione delle conclusioni, ove le parti processuali presentano per iscritto le domande finali, in cui i difensori neppure parlano e in cui i giudici annuiscono con un battito di ciglia).
Eppure i falsi luoghi comuni hanno creato anticorpi discutibili, realizzando dunque la Giustizia difensiva, rendendo complicato ove non arduo domandare tutela al giudice, pertanto realizzando una sacca enorme di diniego di giustizia e costruendo un diritto censorio.
Negli ultimi anni il legislatore ha: a) introdotto strumenti di Alternative Dispute Resolution, assai utili ma in modo discutibile, lacunoso e fazioso (mediazione obbligatoria, mediatori non qualificati, mediazione non terza nel tributario etc.); b) aumentato a dismisura i costi di accesso alla giustizia (introitati dai ministeri della Giustizia e delle Finanze, fino a dover anticipare migliaia di euro o, per fare qualche esempio, dover pagare oltre 700 euro per fare un ricorso in Cassazione per una causa che valga 6.000 euro; c) inventato il cosiddetto filtro nei giudizi di appello e soprattutto di Cassazione, secondo cui soprattutto nel secondo i ricorsi vengono dichiarati inammissibili fino al 90% secondo indecifrabili criteri posti a metà tra la matematica, il bizantino e l’onirico.
Tirare una moneta in aria offre maggiori chance di successo.
Al contempo i giudici hanno: d) applicato gli artt. 91 (condanna alle spese di lite) e 96 (cosiddetta lite temeraria) c.p.c. a targhe alterne: se vinci contro una Pubblica Amministrazione il giudice, pur non potendolo fare, ti compensa le spese (ergo ti paghi le tue) e ti condanno al risarcimento (ad libitum) se osi intraprendere azioni che non mi garbano (ricordo il giudice torinese, ascoltato ancora sabato a Milano) che ha condannato pesantemente i consumatori clienti delle banche per aver osato contestare l’usurarietà degli interessi (sommandoli) anche se una parte della giurisprudenza lo conferma (ma non lui perché “io devo tutelare il sistema”, bancario ovviamente); e) creato ostacoli di ogni sorta alla realizzazione compiuta del Processo Civile Telematico (nato per ridurre tempi e costi della giustizia), con sentenze creative che hanno seminato una miriade di ostacoli, al cospetto di norme tecniche già scritte da folli burocrati.
Tutto questo, invece di affrontarsi alla radice i problemi della inefficienza della giustizia (con una migliore organizzazione del sistema) ha intimidito gli “utenti” della giustizia.
Il risultato è stato inquietante: da anni decine di migliaia di persone rinunciano a chiedere giustizia pur dinanzi alla demolizione dei loro diritti fondamentali, perché economicamente non possono farlo o temono di poter vincere, ma di fatto perdendo.
Et voilà, l’ingiustizia sociale è servita!
di Marcello Adriano Mazzola
| 1 febbraio 2016
Peccato come sia oramai altrettanto noto come una tale prassi costi molto di più al Sistema sanitario e spesso peggiori la vita del paziente (esposto a più analisi, più cure farmacologiche etc.).
Ecco qualcosa di simile oramai esiste anche nel sistema Giustizia.
Il sistema reagisce infatti alle azioni (giurisdizionali, ergo cause) con soluzioni assai discutibili, invece che riorganizzarsi e rendersi più efficiente.
Partiamo dai falsi luoghi comuni, oramai recitati e ripetuti come mantra fino a farli credere come veri: 1) abbiamo oltre 6 milioni di cause pendenti nel processo civile: a parte il fatto che dichiarare che si sia affetti da metastasi serve a ben poco ove non si proceda a verificare quali siano le cause reali, ove si consideri che la Pubblica Amministrazione inefficiente è la prima fonte di cause (es. contro l’Inps, contro le Agenzie delle Entrate che agiscono temerariamente e senza contraddittorio etc.); in realtà il numero attuale è di poco oltre 4 milioni, come ha di recente relazionato il dott. Barbuto al Ministero della Giustizia; 2) in Italia l’elevato numero dei processi lo si deve al numero abnorme di avvocati: che sia elevato (attualmente circa 215.000) è indiscutibile ma non vi è alcuna correlazione scientifica così come ha sottolineato personalmente il Guardasigilli di recente (Rimini, ottobre 2015); 3) gli italiani son troppo litigiosi, tesi scientifica smentita dai numeri, sempre dal dott. Barbuto al Ministero della Giustizia di recente; 4) i giudici italiani hanno le performance migliori d’Europa, altra tesi assai discutibile ove si pensi al recente caso del giudice che nel rinviare una causa alle calende greche (2019) si autogiustificava asserendo che avesse già carichi di lavoro che non potevano certo sfociare in ritmi da schiavismo in contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo. Ora si pensi come nel suddetto carico ogni giudice contempli almeno ¼ (sino a 1/3) di udienze fuffa (così dette di precisazione delle conclusioni, ove le parti processuali presentano per iscritto le domande finali, in cui i difensori neppure parlano e in cui i giudici annuiscono con un battito di ciglia).
Eppure i falsi luoghi comuni hanno creato anticorpi discutibili, realizzando dunque la Giustizia difensiva, rendendo complicato ove non arduo domandare tutela al giudice, pertanto realizzando una sacca enorme di diniego di giustizia e costruendo un diritto censorio.
Negli ultimi anni il legislatore ha: a) introdotto strumenti di Alternative Dispute Resolution, assai utili ma in modo discutibile, lacunoso e fazioso (mediazione obbligatoria, mediatori non qualificati, mediazione non terza nel tributario etc.); b) aumentato a dismisura i costi di accesso alla giustizia (introitati dai ministeri della Giustizia e delle Finanze, fino a dover anticipare migliaia di euro o, per fare qualche esempio, dover pagare oltre 700 euro per fare un ricorso in Cassazione per una causa che valga 6.000 euro; c) inventato il cosiddetto filtro nei giudizi di appello e soprattutto di Cassazione, secondo cui soprattutto nel secondo i ricorsi vengono dichiarati inammissibili fino al 90% secondo indecifrabili criteri posti a metà tra la matematica, il bizantino e l’onirico.
Tirare una moneta in aria offre maggiori chance di successo.
Al contempo i giudici hanno: d) applicato gli artt. 91 (condanna alle spese di lite) e 96 (cosiddetta lite temeraria) c.p.c. a targhe alterne: se vinci contro una Pubblica Amministrazione il giudice, pur non potendolo fare, ti compensa le spese (ergo ti paghi le tue) e ti condanno al risarcimento (ad libitum) se osi intraprendere azioni che non mi garbano (ricordo il giudice torinese, ascoltato ancora sabato a Milano) che ha condannato pesantemente i consumatori clienti delle banche per aver osato contestare l’usurarietà degli interessi (sommandoli) anche se una parte della giurisprudenza lo conferma (ma non lui perché “io devo tutelare il sistema”, bancario ovviamente); e) creato ostacoli di ogni sorta alla realizzazione compiuta del Processo Civile Telematico (nato per ridurre tempi e costi della giustizia), con sentenze creative che hanno seminato una miriade di ostacoli, al cospetto di norme tecniche già scritte da folli burocrati.
Tutto questo, invece di affrontarsi alla radice i problemi della inefficienza della giustizia (con una migliore organizzazione del sistema) ha intimidito gli “utenti” della giustizia.
Il risultato è stato inquietante: da anni decine di migliaia di persone rinunciano a chiedere giustizia pur dinanzi alla demolizione dei loro diritti fondamentali, perché economicamente non possono farlo o temono di poter vincere, ma di fatto perdendo.
Et voilà, l’ingiustizia sociale è servita!
di Marcello Adriano Mazzola
| 1 febbraio 2016
sabato, gennaio 30, 2016
giovedì, gennaio 28, 2016
martedì, gennaio 19, 2016
Astensione Avvocati: va rinviata anche l’udienza dal Gup.
"Il diritto dell’imputato ad ottenere il rinvio dell’udienza per la comunicazione dell’avvocato di astensione dalle udienze, per adesione allo “sciopero”, vale anche per le udienze camerali in cui la partecipazione delle parti non è obbligatoria.
Il mancato accoglimento della richiesta comporta la nullità della sentenza adottata, a causa della mancata assistenza dell’imputato".
Corte di cassazione - Sezione IV penale - sentenza 18 gennaio 2016 n.1835
Il mancato accoglimento della richiesta comporta la nullità della sentenza adottata, a causa della mancata assistenza dell’imputato".
Corte di cassazione - Sezione IV penale - sentenza 18 gennaio 2016 n.1835
lunedì, gennaio 18, 2016
Il momento perfezionativo della notifica ex art. 140 cpc (Cass. Civ. sent. n. 137/2016)
“La notifica di un atto ai sensi dell'art. 140 c.p.c., richiede il compimento di tre formalità: il deposito di copia dell'atto nella casa del Comune dove la notificazione deve eseguirsi, l'affissione dell'avviso dell'eseguito deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell'abitazione, ufficio o azienda del destinatario, e l'invio di raccomandata con avviso di ricevimento, contenente la "notizia" del deposito dell'atto nella casa comunale.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 3 del 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma in esame, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.
Per effetto di tale pronuncia, d’immediata applicazione, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi dell'art. 140 c.p.c., si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione".
Cassazione Civile sent. n.137 dell’08 gennaio 2016.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 3 del 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma in esame, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.
Per effetto di tale pronuncia, d’immediata applicazione, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi dell'art. 140 c.p.c., si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione".
Cassazione Civile sent. n.137 dell’08 gennaio 2016.
martedì, gennaio 12, 2016
lunedì, gennaio 11, 2016
Processo disciplinare: il principio del libero convincimento del giudice vale anche in sede disciplinare.
Il Consiglio territoriale gode della più ampia discrezionalità in ordine alla introduzione nel procedimento dei mezzi istruttori, sicché non è censurabile, né può determinare la nullità della decisione, la mancata audizione dei testi indicati, quando risulti che il Consiglio abbia ritenuto le testimonianze del tutto inutili o irrilevanti ai fini del giudizio, per essere il Collegio già in possesso degli elementi sufficienti a determinare l’accertamento completo dei fatti da giudicare attraverso la valutazione delle risultanze acquisite.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Borsacchi), sentenza del 10 novembre 2014, n. 154
NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Merli), sentenza del 26 settembre 2014, n. 118, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Salazar), sentenza del 16 aprile 2014, n. 65, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Damascelli), sentenza del 16 aprile 2014, n. 52; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Morlino), sentenza del 19 febbraio 2014, n. 4; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Morlino), sentenza del 19 febbraio 2014, n. 3; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Morlino, rel. Borsacchi), sentenza del 30 dicembre 2013, n. 225.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Borsacchi), sentenza del 10 novembre 2014, n. 154
NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Merli), sentenza del 26 settembre 2014, n. 118, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Salazar), sentenza del 16 aprile 2014, n. 65, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Damascelli), sentenza del 16 aprile 2014, n. 52; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Morlino), sentenza del 19 febbraio 2014, n. 4; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Morlino), sentenza del 19 febbraio 2014, n. 3; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Morlino, rel. Borsacchi), sentenza del 30 dicembre 2013, n. 225.
Deontologia forense: Illecito definire “risibile” il comportamento del Collega.
Il termine “risibile” ha valenza offensiva e/o disdicevole sul piano deontologico, indipendentemente dal suo eventuale rilievo penale (Nel caso di specie, il termine de quo veniva usato in una missiva rivolta al collega. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare dell’avvertimento).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Borsacchi), sentenza del 10 novembre 2014, n. 154
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Borsacchi), sentenza del 10 novembre 2014, n. 154
domenica, dicembre 27, 2015
martedì, dicembre 22, 2015
mercoledì, dicembre 16, 2015
giovedì, dicembre 10, 2015
In caso d’opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di mediazione obbligatoria grava sull'opponente perché costui intende precludere la via breve per percorrere la via lunga.
Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 3.12.2015, n. 24629
“ Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione, falsa applicazione di norma di diritto (art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c.): in particolare, violazione dell'art. 5 D.lgs 28/2010.
La disposizione di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio.
La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell'efficienza processuale.
In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira - per cosi dire - a rendere il processo l’extrema ratio: cioè l'ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse.
Quindi l'onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo.
Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l'opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell'onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l'opposto nel giudizio d’opposizione.
Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente e l'attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l'onere. Ma in realtà - avendo come guida il criterio ermeneutico dell'interesse e del potere d’introdurre il giudizio di cognizione - la soluzione deve essere quella opposta.
Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l'attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell'efficienza processuale e della ragionevole durata del processo.
E' l'opponente che ha il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore.
E' dunque sull'opponente che deve gravare l'onere della mediazione obbligatoria perché è l'opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga.
La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell'opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice.
Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l'onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.
E', dunque, l'opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c..
Soltanto quando l'opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente - convenuto sostanziale, opposto - attore sostanziale.
Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l'opposizione sarà improcedibile. Il motivo, quindi, non è fondato”.
domenica, dicembre 06, 2015
giovedì, dicembre 03, 2015
Pagare i contributi è come mettere soldi in un salvadanaio? Un bel corno!
Per commentare la notizia secondo cui Equitalia e Cassa Forense hanno siglato un accordo per iniziare a perseguire gli avvocati "morosi" nel versamento dei contributi, il Presidente della Cassa Avv. Nunzio Luciano dichiara: «Chi guadagna tanto e non paga i contribuiti va perseguito chi non arriva lo aiutiamo con la rateizzazione.
Ma non bisogna dimenticare che la contribuzione non è un’imposta: serve a pagare la pensione e a incrementare il proprio salvadanaio» (fonte: LaLeggePerTutti.it).
Non sono un esperto di previdenza, ma con quel poco che ho imparato da autodidatta mi sento di poter segnalare al collega Luciano che in verità la faccenda è un po' diversa.
Infatti, con il nuovo sistema contributivo, i contributi versati ora servono a pagare la pensione DI COLORO CHE LA STANNO PRENDENDO ORA e non quella di coloro che la prenderanno tra 30/40 anni (i quali non sanno nemmeno se mai la prenderanno una pensione).
Quindi... caro Presidente... me lo lasci dire: salvadanaio un bel corno!
Se da un lato è giusto che, essendoci un obbligo di legge, tutti lo rispettino, dall'altro è parimenti giusto e corretto spiegare i concetti con la massima onestà intellettuale.
In altre parole, se vogliamo proprio usare l'immagine del salvadanaio, diciamo anche di chi è realmente il salvadanaio.
Ma non bisogna dimenticare che la contribuzione non è un’imposta: serve a pagare la pensione e a incrementare il proprio salvadanaio» (fonte: LaLeggePerTutti.it).
Non sono un esperto di previdenza, ma con quel poco che ho imparato da autodidatta mi sento di poter segnalare al collega Luciano che in verità la faccenda è un po' diversa.
Infatti, con il nuovo sistema contributivo, i contributi versati ora servono a pagare la pensione DI COLORO CHE LA STANNO PRENDENDO ORA e non quella di coloro che la prenderanno tra 30/40 anni (i quali non sanno nemmeno se mai la prenderanno una pensione).
Quindi... caro Presidente... me lo lasci dire: salvadanaio un bel corno!
Se da un lato è giusto che, essendoci un obbligo di legge, tutti lo rispettino, dall'altro è parimenti giusto e corretto spiegare i concetti con la massima onestà intellettuale.
In altre parole, se vogliamo proprio usare l'immagine del salvadanaio, diciamo anche di chi è realmente il salvadanaio.
Simone Aliprandi
http://aliprandi.blogspot.it
martedì, dicembre 01, 2015
domenica, novembre 29, 2015
lunedì, novembre 23, 2015
giovedì, novembre 19, 2015
sabato, novembre 14, 2015
martedì, novembre 10, 2015
venerdì, novembre 06, 2015
Agli "abogados" è precluso l'utilizzo del titolo "avvocato" (Circolare del COA di Bologna).
ORDINE AVVOCATI BOLOGNA- Circ. 70 del 28 settembre 2015 - I limiti dell’esercizio professionale da parte degli avvocati stabiliti.
Come noto, la legge professionale forense prevede la possibilità d'iscrizione, in un'apposita sezione speciale dell'Albo, degli avvocati "stabiliti", cioè consente l'esercizio in Italia della professione forense da parte di cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea che abbiano conseguito nel paese d'origine l'abilitazione alla professione.E' una norma che, nel rispetto dei principi comunitari della libera circolazione dei lavoratori e del diritto di stabilimento, vuole tutelare coloro che, avendo conseguito il titolo professionale nel proprio Paese europeo d'origine, decidano di svolgere la professione in altro Stato membro dell'Unione.
Il principio, giusto e corretto, ha tuttavia avuto negli ultimi anni un'applicazione distorta: molti laureati in giurisprudenza italiani, grazie a percorsi integrativi agevolati, hanno ottenuto in Spagna e in Romania l'omologazione della propria laurea italiana al corrispondente titolo spagnolo o rumeno, per poi fare ritorno in Italia e chiedere l'iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti (il 92% degli iscritti nelle sezioni speciali degli avvocati stabiliti degli Albi dell'Ordine Forense è di nazionalità italiana e tra questi l'83% ha conseguito il titolo in Spagna, il 4% in Romania: dati in Rassegna Forense, n. 3-4/2014, p. 793).
La predilezione per tali mete è, notoriamente, dovuta al fatto che, in quei paesi non è previsto un esame di abilitazione alla professione di avvocato, che può essere svolta liberamente da chi si sia semplicemente laureato in giurisprudenza; dunque, il successivo rientro in Italia come "stabilito" consente, di fatto, di eludere il superamento dell'obbligatorio esame da avvocato che è previsto nel nostro ordinamento.
Negli ultimi anni il nostro Consiglio ha ripetutamente rigettato richieste d'iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti presentate da cittadini italiani in possesso del titolo spagnolo di "abogado" o di quello rumeno di "avocat"; e ciò ha convintamente fatto facendo leva sulla giurisprudenza, anche specifica del C.N.F., in materia di abuso del diritto.
Oggi - dopo la sentenza n. 28340 del 22 dicembre 2011 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il provvedimento del 23 aprile 2013 dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e la sentenza del 17 luglio 2014 della Corte di Giustizia Europea - il rigetto di tali domande d'iscrizione ha margini molto più ristretti.
Riteniamo quindi utile, anche in virtù di alcune segnalazioni pervenute, rammentare quali sono i limiti entro i quali un avvocato "stabilito", iscritto nella relativa sezione speciale dell'Albo di un qualsiasi Ordine Forense italiano, può esercitare la professione forense in Italia.
Innanzitutto, l'avvocato "stabilito" non può in alcun modo spendere in Italia il titolo di "avvocato", ma esclusivamente quello conseguito nel Paese europeo d'origine (art. 4 del d.lgs. n. 96/2001): "abogado", nel caso di laurea omologata in Spagna, oppure "avocat", nel caso in cui la laurea sia stata omologata in Romania.
Va precisato che il titolo italiano non può essere speso nemmeno in forma abbreviata (per esempio, "avv.") e non può dunque essere utilizzato negli atti, nelle lettere, nella carta intestata e nell'indirizzo e-mail o pec (cfr. parere del C.N.F. n. 72 del 22 ottobre 2014); inoltre, la qualifica di "stabilito" deve essere chiaramente indicata, e non può essere limitata alla "sola indicazione, dopo il titolo di avvocato, della lettera ‘S' ovvero dell'abbreviazione ‘stab.', trattandosi di segni che la gran parte del pubblico non ha strumenti conoscitivi per interpretare" (sentenza del C.N.F. n. 115 del 26 settembre 2014).
Inoltre, per l'esercizio delle prestazioni giudiziali "l'avvocato stabilito deve agire d'intesa con un professionista abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori. L'intesa deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi al giudice adito o all'autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell'assistito" (art. 8 del d.lgs. n. 96/2001).
Al riguardo, con i propri pareri n. 32/2012, 53/2013 e 68/2014, il C.N.F. ha chiarito che "l'obbligo di esercitare la professione d'intesa con un avvocato italiano implica che non vi possa essere un affiancamento in via generale a un avvocato abilitato, ma che tale integrazione di poteri debba essere fornita per ogni singola procedura; di conseguenza, l'avvocato ‘affiancante' non può e non deve essere indicato con efficacia generale, ma in relazione alla singola controversia trattata".
Per quanto riguarda l'avvocato "affiancante", con il quale lo "stabilito" deve agire d'intesa, egli - come chiarito dal C.N.F. con il parere n. 9 del 28 marzo 2012 - "non è obbligato a presenziare, ovvero assistere alle udienze alle quali l'avvocato stabilito partecipa; si osserva tuttavia che l'intesa implica una forte responsabilità dell'avvocato italiano per quanto attiene al controllo dell'attività dell'avvocato stabilito, pur in assenza della condivisione del mandato difensivo".
Raccomandiamo a tutti - stabiliti e avvocati "affiancanti" - la scrupolosa osservanza dei principi richiamati.
martedì, novembre 03, 2015
L’OUA AL MINISTRO ORLANDO: SERVONO SOLUZIONI CONDIVISE SULLE ELEZIONI FORENSI. QUINDI, SULLE SPECIALIZZAZIONI: NECESSARIE FORTI CORREZIONI PERCHÈ DANNEGGIA AVVOCATI E CITTADINI . VIA LIBERA DELL'ASSEMBLEA OUA ALL'EVENTUALE IMPUGNAZIONE AL TAR.
L’Assemblea dei Delegati dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, riunita a Roma, ha approvato due deliberati su specializzazioni ed elezioni forensi.
In entrambi si chiede al Ministro di Giustizia, Andrea Orlando, di trovare soluzioni condivise, perché quelle prospettate destano grande preoccupazione all’interno dell’Avvocatura, come dimostrano le diverse, e contrapposte, prese di posizioni all’interno del mondo ordinistico e dell’associazionismo forense.
Mirella Casiello, presidente Oua, ha sottolineato, come «sia necessario che tutti facciano un passo indietro. I due regolamenti – aggiunge – per ragioni diverse, hanno riportato indietro nel tempo le lancette della politica forense».
«Qualunque futuro intervento sulle elezioni forensi, dopo lo stop del Tar - spiega Casiello - deve rispondere in modo efficace alle osservazioni della giustizia amministrativa e ad alcuni criteri fondamentali: tutela della libertà di scelta elettorale e delle pari opportunità, difesa delle minoranze ma anche la possibilità per gli avvocati di indicare una maggioranza di Colleghi che dovrà occuparsi di gestire gli ordini. Le soluzioni prospettate dal ministro Orlando limitano il diritto di ciascun avvocato ad esprimere le proprie preferenze riguardo al numero dei consiglieri eleggibili, alterando il corretto rapporto tra elettore e candidati consiglieri, comprimendo, fino ad annullare, il diritto di ogni singolo avvocato elettore ad indicare una chiara maggioranza di consiglieri che garantisca la buona gestione dei Consigli dell’Ordine».
Sulle specializzazioni la presidente Oua, Casiello, chiede a gran voce di correggere il nuovo regolamento: tre, sinteticamente, le principali criticità: la definizione dei settori di specializzazione, che parcellizza estremamente il “civile”; quindi l'arbitrarietà nella valutazione dei medesimi incarichi ricevuti nel corso dell'attività forense, ai fini dell'attribuzione della specializzazione. Infine, il doppio binario tra formazione e certificazione dell'esperienza, che così prefigurato penalizzerà i più giovani». In assenza, quindi, di modifiche, l’Assemblea Oua, ha già dato il via libera, con un'apposita delibera per l'impugnazione al Tar Lazio. Mirella Casiello, infine, rivolgendosi al Ministro della Giustizia, al C.N.F., ai Presidenti degli Ordini Territoriali e alle Associazioni maggiormente rappresentative, ha invitato a «riprendere la strada del dialogo, anche cogliendo l’occasione della prossima Conferenza Nazionale dell'Avvocatura, che si terrà a Torino al Lingotto, dal 26 al 28 novembre».
«È necessario – conclude - trovare soluzioni condivise sia per modernizzare la professione forense, sia per tutelare la democrazia nelle elezioni ordinistiche».
Roma, 3 novembre 2015
In entrambi si chiede al Ministro di Giustizia, Andrea Orlando, di trovare soluzioni condivise, perché quelle prospettate destano grande preoccupazione all’interno dell’Avvocatura, come dimostrano le diverse, e contrapposte, prese di posizioni all’interno del mondo ordinistico e dell’associazionismo forense.
Mirella Casiello, presidente Oua, ha sottolineato, come «sia necessario che tutti facciano un passo indietro. I due regolamenti – aggiunge – per ragioni diverse, hanno riportato indietro nel tempo le lancette della politica forense».
«Qualunque futuro intervento sulle elezioni forensi, dopo lo stop del Tar - spiega Casiello - deve rispondere in modo efficace alle osservazioni della giustizia amministrativa e ad alcuni criteri fondamentali: tutela della libertà di scelta elettorale e delle pari opportunità, difesa delle minoranze ma anche la possibilità per gli avvocati di indicare una maggioranza di Colleghi che dovrà occuparsi di gestire gli ordini. Le soluzioni prospettate dal ministro Orlando limitano il diritto di ciascun avvocato ad esprimere le proprie preferenze riguardo al numero dei consiglieri eleggibili, alterando il corretto rapporto tra elettore e candidati consiglieri, comprimendo, fino ad annullare, il diritto di ogni singolo avvocato elettore ad indicare una chiara maggioranza di consiglieri che garantisca la buona gestione dei Consigli dell’Ordine».
Sulle specializzazioni la presidente Oua, Casiello, chiede a gran voce di correggere il nuovo regolamento: tre, sinteticamente, le principali criticità: la definizione dei settori di specializzazione, che parcellizza estremamente il “civile”; quindi l'arbitrarietà nella valutazione dei medesimi incarichi ricevuti nel corso dell'attività forense, ai fini dell'attribuzione della specializzazione. Infine, il doppio binario tra formazione e certificazione dell'esperienza, che così prefigurato penalizzerà i più giovani». In assenza, quindi, di modifiche, l’Assemblea Oua, ha già dato il via libera, con un'apposita delibera per l'impugnazione al Tar Lazio. Mirella Casiello, infine, rivolgendosi al Ministro della Giustizia, al C.N.F., ai Presidenti degli Ordini Territoriali e alle Associazioni maggiormente rappresentative, ha invitato a «riprendere la strada del dialogo, anche cogliendo l’occasione della prossima Conferenza Nazionale dell'Avvocatura, che si terrà a Torino al Lingotto, dal 26 al 28 novembre».
«È necessario – conclude - trovare soluzioni condivise sia per modernizzare la professione forense, sia per tutelare la democrazia nelle elezioni ordinistiche».
Roma, 3 novembre 2015
Iscriviti a:
Post (Atom)