martedì, gennaio 08, 2013

Obbligo di iscrizione alla previdenza forense: una visione lungimirante o un cavallo di Troia?

La situazione, prima della riforma in commento, era la seguente: 165.000 avvocati iscritti agli Ordini e iscritti in Cassa Forense, 60.000 avvocati iscritti all’Ordine ma non iscritti in Cassa Forense e quindi, tranne i pochi iscritti alla Gestione autonoma dell’INPS, privi di copertura previdenziale e assistenziale.
Con l’art. 21 della legge di riforma è stato escluso per la permanenza dell’iscrizione all’Albo ogni riferimento al reddito professionale ma l’obbligo per chi si iscrive all’Albo della contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense con l’espressa previsione che non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.
Siffatta previsione sembra scontentare tutti mentre l’opportuna conoscenza della giurisprudenza sia della nostra Corte Costituzionale che della Corte Europea dei diritti dell’uomo, non può che portare a vedere nella previsione dell’art. 21 una scelta del legislatore nazionale ponderata e lungimirante piuttosto che un cavallo di troia per far saltare il sistema previdenziale forense e portare tutti all’Inps. Uguaglianza è una nozione-chiave del lessico giuridico-politico contemporaneo. In essa si ravvisa comunemente un valore, un ideale, un obiettivo pubblico, un principio normativo, un criterio di giustizia, un’aspirazione morale universale.
Ma il successo e l’indubbia forza evocativa dell’idea non ne garantiscono l’attuazione effettiva nella realtà; né ci esimono dal confrontarci con le criticità insite nel concetto stesso.
Basti pensare alla tensione che potenzialmente intercorre tra l’uguaglianza e altri valori parimenti meritevoli di tutela: tra uguaglianza e diritti di libertà, tra uguaglianza e diritto di proprietà, o ancora tra tutela dell’uguaglianza e rispetto delle differenze.
«Uguaglianza, differenza, libertà, proprietà sono tutti beni degni di essere promossi e protetti giuridicamente; ma proprio se considerati nella loro natura di valori si rivelano reciprocamente incommensurabili e talora conflittuali, possono dar luogo ad alternative inesorabili e a conseguenti rinunce: non esiste un mondo sociale senza perdite, come notava Isaiah Berlin appunto in riferimento alle potenziali collisioni tra uguaglianza e libertà. La concretezza di questi dilemmi rivela già in sé l’intrinseca problematicità di un concetto» (Maria Zanichelli, Il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione).
La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha, in varie occasioni, avuto modo di sottolineare come la convenzione dei diritti dell’uomo non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali; tuttavia, una volta che tali prestazioni siano state istituite e concesse, la relativa disciplina non potrà sottrarsi al giudizio di compatibilità con le norme della Convenzione e, in particolare, con l’art. 14 che vieta la previsione di trattamenti discriminatori (Corte Costituzionale, sentenza n. 187/2010).
Dal principio di parità di trattamento si distinguono nettamente, per contenuto precettivo, i divieti di discriminazione: mentre il principio di parità impone di trattare in modo eguale situazioni eguali (onde la disparità deve essere giustificata con l’indicazione dell’effettiva diseguaglianza di situazioni), il divieto di discriminazioni impone di trattare in modo eguale situazioni differenti: impone cioè di ignorare una differenza.
Tra i due precetti corre tuttavia un nesso logico strettissimo: a nulla varrebbe, infatti, l’adempimento del precetto di ignorare la differenza, se esso non si accompagnasse al precetto di trattare in modo eguale le due situazioni che devono essere considerate come eguali.
In questo senso può affermarsi che ogni divieto di discriminazione presuppone – o, se si preferisce, contiene in sé – una regola di parità.
Se, ciò nonostante, il principio di parità è venuto affermandosi in un tempo successivo rispetto ai principali divieti di discriminazione, questo è dovuto al fatto che la disparità di trattamento immotivata desta minore allarme sociale rispetto alla disparità di trattamento basata su motivi illeciti (cioè da differenze che si assume debbano essere ignorate), ma, a ben vedere, i divieti di discriminazione costituiscono logicamente un passo successivo rispetto al principio di parità.
Onde può dirsi che una implicita affermazione di questa era già contenuta nell’affermazione di quelli (Pietro Ichino, I divieti di discriminazione).
A questo punto è evidente che tutti gli avvocati iscritti all’Ordine dovranno contestualmente iscriversi in Cassa Forense la quale non potrà operare alcuna discriminazione tra gli iscritti soprattutto in base al reddito pena la violazione dell’art. 14 della Convenzione dei diritti dell’uomo che vieta la previsione di trattamenti discriminatori. La norma prevede la possibilità della eventuale applicazione del regime contributivo.
Domanda: per tutti gli iscritti oggi al retributivo corretto o solo per i 60 mila non ancora iscritti? Alla luce di quanto detto più sopra a me pare che dello inciso si debba dare una interpretazione costituzionalmente orientata nel senso di esercitare per tutti gli iscritti l’opzione al sistema di calcolo contributivo di cui alle leggi 335/1995 e più recentemente 214/2011 cosi allineando anche la previdenza degli avvocati ai canoni nazionali. Se si dovesse andare di contrario avviso prevedo un contenzioso nutrito.
Al fine di garantire a tutti gli iscritti parità di trattamento senza discriminazioni reddituali sarà a questo punto inevitabile l’esercizio dell’opzione al sistema di calcolo contributivo della pensione per tutti ed è ciò che il legislatore ha perseguito con la legge 214/2011.
Si ritorna cioè al punto di partenza come nel gioco dell’oca dopo aver perso solo del tempo prezioso. Molti dei 60 mila oggi si oppongono sulla affermazione che sarebbe una loro aspettativa di diritto rimanere nella gestione speciale Inps.
Opposizione che non ha fondamento dato che, attualmente, solo pochi hanno ritenuto di iscriversi colà. Diceva Albert Einstein: È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte le grandi strategie!
Ci vorrà molta pazienza e costanza per far quadrare il cerchio e scaricare la pistola fumante.
di Paolo Rosa - Avvocato

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