sabato, giugno 27, 2020
sabato, giugno 13, 2020
L’impugnazione della delibera approvativa del bilancio condominiale.
Cass. Civ. – Sez. VI - ord. n. 10844/2020 – Presidente
D’Ascola – Relatore Scarpa – pubblicata l’08 giugno 2020.
"Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la
deliberazione dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale
dell'amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti,
nel termine stabilito dall'art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo
per ragioni di legittimità, restando perciò escluso ogni sindacato giudiziale
sulla consistenza degli esborsi o sulla convenienza delle scelte gestionali (Cass. II, 4 marzo 2011, n. 5254;
Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747; Cass. VI-2, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass.
II, T7 gennaio 1988, n. 731).
E' poi certo nell'interpretazione giurisprudenziale che, se
ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere
dall’amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in
qualsiasi tempo (e, non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di
approvazione del bilancio da parte dell'assemblea), senza neppure l'onere di
specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o
estrarre copia dai documenti), l'esercizio di tale facoltà non deve risultare
di ostacolo all'attività di amministrazione, né rivelarsi contraria ai principi
di correttezza (Cass. II, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. 29 novembre 2001,
n. 15159; Cass. II, 26 agosto 1998, n. 8460).
E’ altrettanto consolidato l'orientamento giurisprudenziale
che precisa come, per la validità della delibera di approvazione del bilancio
condominiale, non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta
dall'amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci
delle società, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere
intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative
quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti
giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle
somme incassate, nonché dell'entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di
tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le
modalità con cui l'incarico è stato eseguito e di stabilire se l'operato di chi
rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione, e ciò comunque
alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non
è denunciabile per cassazione alla stregua dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Neppure si richiede che le voci di spesa siano trascritte nel verbale
assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua
della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell'organo
deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all'approvazione stessa,
prestando fede ai dati forniti dall'amministratore alla stregua della
documentazione giustificativa (Cass. II, 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. II, 7
febbraio 2000, n. 9099; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747). E' pertanto valida
la deliberazione assembleare con la quale, come nella specie, si proceda
sinteticamente all'approvazione di una voce, o si indichi la somma
complessivamente stanziata, atteso che i criteri di semplicità e snellezza che
presidiano alle vicende deH'amministrazione condominiale consentono, senza concreti
pregiudizi per la collettività dei comproprietari, finanche la possibilità di
regolarizzazione successiva delle eventuali omissioni nell'approvazione dei
rendiconti. (Cass. II, 30 dicembre 1997, n. 13100; Cass. II, 31 marzo 2017, n.
8521; Cass. II, 13 ottobre 1999, n. 11526)".
martedì, giugno 02, 2020
Responsabilità oggettiva ex art. 2051 cc: la prevedibilità dell'evento interrompe il nesso causale.
Corte Cass. Civ. Sez. 6 – Ord. n.
100040/2020 – Presidente: Frasca
-Relatore: Cirillo – Pubblicata il 28 maggio 2020.
“La costante giurisprudenza di questa
Corte sull’art. 2051 cc, insegna che il danneggiato deve comunque dimostrare
l’esistenza del fatto dannoso, il nesso di causalità e il danno, rimanendo a
carico del custode l’obbligo di dimostrazione del caso fortuito (v., tra le
altre, le ordinanze 22 dicembre 2017, n. 30775, 30 ottobre 2018, n. 27724, e 13
febbraio 2019, n. 4160).
Ciò premesso, giova ricordare che
questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di
custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482
e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la
condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia
diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione,
anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una
valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela,
riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della
Costituzione.
Ne consegue che, quanto più la
situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata
attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese
e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve
considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel
dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento
interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da
escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o
accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale,
connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del
sinistro.
E stato anche chiarito nelle
menzionate pronunce che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art.
1227 cod. civ. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della
colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di
responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come
sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di
condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.
Nel caso in esame la Corte
territoriale ha fatto buon governo di tali principi, per cui la sentenza impugnata
resiste alle censure proposte.
La pronuncia in esame, infatti,
ha compiuto una valutazione complessiva delle prove ed ha ritenuto, come si è
detto, che, se il conducente avesse rispettato il limite di velocità, avrebbe
avuto la possibilità di arrestare la vettura in tempo utile, nonostante la
presenza dell’avvallamento.
Ne deriva, in sostanza, che
l’eccesso di velocità del conducente è stato ritenuto dalla Corte d’appello,
con un accertamento in fatto non suscettibile di modifica o riesame in questa
sede, come una causa successiva di per sé sola sufficiente a determinare
l’evento; il che equivale a dire che l’eccesso di velocità ha interrotto il
nesso di causalità tra l’avvallamento stradale e l’incidente (v. anche le
ordinanze 30 ottobre 2018, n. 27724, e 29 gennaio 2019, n. 2345).
Va poi aggiunto, ad abundantiam,
che non risulta sia stato in alcun modo prospettato, in sede di merito, che
l’avvallamento in questione fosse presente già da un tempo sufficiente a
rendere ragionevole il doveroso intervento di manutenzione da parte del
custode”.