lunedì, ottobre 31, 2016

De Cataldo, manettari e mafia capitale..........

Giancarlo De Cataldo è un famoso magistrato che lavora come giudice alla Corte d'assise di Roma e nel molto tempo libero, beato lui, che riesce a ritagliarsi nell'ambito della sua faticosa vita da giudice negli ultimi anni è riuscito a crearsi una spettacolare vita parallela in cui ha mostrato di possedere diversi talenti. Sia da scrittore, sia da drammaturgo, sia da sceneggiatore.
In questa sua vita parallela, negli ultimi tempi, De Cataldo, penna rapida e accattivante, si è imposto come scrittore e sceneggiatore di successo prima con "Romanzo Criminale" (scritto nel 2002, sceneggiato nel 2005) e poi con un libro che, per stessa modesta ammissione di De Cataldo e dell'altro autore Carlo Bonini, ha anticipato la sceneggiatura di Mafia Capitale: "Suburra", da cui il regista Stefano Sollima ha tratto il suo omonimo film.
 Nelle ultime settimane però il caso ha voluto che il nome di Giancarlo De Cataldo sia tornato al centro dell'attenzione non per la sua generosa attività di scrittore ma per la sua attività di magistrato.
In particolare, da un po' di tempo a questa parte, il nome di De Cataldo è diventato sinonimo di un caso che si è aperto al Csm e che ci dice molto non tanto di chi è Giancarlo De Cataldo (un bravo magistrato, un ottimo scrittore) ma di che cosa si rischia quando all'interno del circo mediatico-giudiziario si gioca con alcune parole e alcuni concetti tipici della gogna.
Il caso di De Cataldo è arrivato qualche mese fa al Consiglio superiore della magistratura per una ragione semplice e pur essendo noi del Foglio i più garantisti del reame per una volta, per descrivere il caso De Cataldo, abbiamo scelto di utilizzare i verbi e le parole (le metteremo tra virgolette) che i professionisti del circo mediatico utilizzerebbero se il soggetto in questione non fosse un magistrato. La storia è questa.
Il giudice della Corte d'assise di Roma, De Cataldo, è stato "pizzicato" a conversare "amabilmente" al telefono con "il braccio destro di Massimo Carminati", Salvatore Buzzi, ex capo della Cooperativa 29 giugno, uno dei protagonisti del romanzo giudiziario di Mafia Capitale.
In queste conversazioni telefoniche, che solo quando riguardano i magistrati vengono definite fino all'ossessione "penalmente non rilevanti", mentre di solito per i professionisti del circo mediatico-giudiziario finire in un brogliaccio è l'anticamera dell'essere colpevoli di qualcosa, in queste conversazioni, si diceva, la "coppia De Cataldo-Buzzi" mostrava una "certa confidenza" (tredici telefonate e sms) che ha insospettito la procura di Roma, che per questo ha portato il caso al Csm per valutare l'incompatibilità ambientale del giudice.
In queste conversazioni "il boss della cooperazione" informava il consigliere della Corte di appello della capitale dell'arrivo in una delle sue cooperative del boss Massimo Carminati, di cui lo stesso De Cataldo aveva a lungo scritto all'interno dei suoi romanzi (Carminati è il "Nero" di "Romanzo Criminale", e il giustizialista collettivo di solito di fronte a casi come questo aggiungerebbe un magnifico "non è un caso").
Oltre a questo, il "braccio destro di Carminati" è stato "beccato" a "spifferare" al telefono un'altra "verità scomoda": ha offerto come investimento al giudice De Cataldo di comprare obbligazioni emesse dalla stessa Cooperativa 29 giugno. E stando alla documentazione agli atti del Csm, il magistrato si fece "persino" inviare il prospetto informativo dell'iniziativa finanziaria (e in questi casi, il giustizialista collettivo, per corroborare la tesi infila una bella frase di un'intercettazione, tipo questa allegata agli atti del Csm, in cui Buzzi parla al telefono con l'amico imprenditore Marco Clemenzi: "Oh, d'i a Diddi [legale di Buzzi, ndr] che ha aderito pure il giudice De Cataldo eh").
La procura di Roma ha chiesto così al Csm di valutare gli estremi della compatibilità ambientale del giudice e mercoledì 26 ottobre il plenum del Csm ha bocciato la richiesta di archiviare la pratica e ha bocciato la richiesta di far tornare gli atti in Commissione per l'avvio della procedura di trasferimento d'ufficio.
Il dubbio, anticamera della verità. A noi garantisti, che a differenza dei grillini conosciamo a memoria solo un articolo della Costituzione ma conosciamo quello giusto (articolo 27, si è innocenti fino a prova contraria) la spiegazione data da Giancarlo De Cataldo ci sembra logica, lineare e convincente e non ci faremo certo influenzare dalle molte e simpatiche telefonate intercettate di Buzzi (come quella in cui "il braccio destro di Carminati" dice al telefono a De Cataldo. "Ti abbiamo candidato a futuro sindaco di Roma: dai chirurghi agli scrittori e poi saresti più divertente").
Il ragionamento dello scrittore magistrato è perfetto e il discorso si potrebbe chiudere così: De Cataldo dice di aver conosciuto Buzzi nel 1989, quando era magistrato di sorveglianza; dice di non avere nulla da rimproverarsi perché Buzzi all'epoca di quei contatti era per tutti, istituzioni comprese, il "simbolo del detenuto rieducato"; dice che sì è vero Buzzi voleva soldi ma "io non ho mai sottoscritto obbligazioni"; e dice che non c'era nessuna ragione allora per sospettare nemmeno "minimamente che l'uomo avesse subìto l'involuzione che sarebbe poi sfociata nel procedimento Mafia Capitale".
Per noi, ma chi siamo noi per giudicare, il caso è chiuso, e concordiamo con il dottor Armando Spataro, magistrato, quando dice che il tono delle telefonate era chiaramente "scherzoso" e che quei colloqui "dimostrano la fiducia di Giancarlo nell'uomo nuovo, un uomo diverso da quello che aveva inizialmente conosciuto".
Per noi il caso è chiuso ma la storia di De Cataldo ci permette di soffermarci su alcune liturgie talebane che si innescano quando il mondo del circo mediatico-giudiziario si ritrova ad affrontare casi simili a questi.
A voler seguire quelle liturgie, De Cataldo sarebbe colpevole fino a prova contraria. E la sua colpevolezza sarebbe resa evidente dal fatto che - un manettaro sintetizzerebbe senz'altro così la storia se il protagonista non fosse un magistrato - "le intercettazioni dimostrano un legame sospetto e una confidenza innegabile con il braccio destro di Massimo Carminati che rende oggettiva l'esistenza di una incompatibilità ambientale del magistrato amico del boss". Invece no.
La storia di De Cataldo ci dimostra e siamo certi che ci dimostrerà una serie di cose importanti. A: usare la parola "presunto" non è un reato ma è un obbligo quando si parla di un caso giudiziario; B: essere intercettati mentre si parla al telefono con un indagato non significa essere "legati" a quell'indagato; C: non tutto quello che ci raccontano le intercettazioni corrisponde a verità; D: l'anticamera della verità non è il sospetto ma è sempre il dubbio; E: l'abuso dell'espressione "incompatibilità ambientale" nel linguaggio mediatico- giudiziario ha creato una discrezionalità tale nell'utilizzo di questa espressione che qualsiasi cosa ormai può essere considerata un indizio di incompatibilità ambientale.
Tutto questo lo sappiamo. E oggi lo sapranno meglio sicuramente Giancarlo De Cataldo (il quale non ci pare però che abbia scritto editoriali indignati quando la stampa massacrava il ministro Giuliano Poletti, "reo" di essere stato fotografato nel 2010 a una cena con Buzzi) e tutti coloro i quali di solito quando sotto la gogna non ci passa un magistrato passano con disinvoltura come dei trattori sopra l'articolo 27 della Costituzione.
Il caso De Cataldo è una fiction. Ma, come dimostra Mafia Capitale, la fiction, si sa, spesso può diventare un caso giudiziario. Speriamo che almeno con De Cataldo questo non accada.
di Claudio Cerasa 
Il Foglio, 31 ottobre 2016

martedì, ottobre 25, 2016

Deontologia forense: la sanzione disciplinare della cancellazione è stata abrogata.

Cassazione Sez. Un. Civili 20 settembre 2016, n. 18394 - Pres. Canzio - Est. Petitti. 

Avvocato e procuratore - Giudizi disciplinari - Sanzioni disciplinari - Cancellazione dall'albo - Inapplicabilità ai sensi del nuovo codice deontologico forense - Ragioni

"Sono, invece, meritevoli di accoglimento le deduzioni del ricorrente relative alla sanzione irrogata. La sanzione applicata dal CNF con la sentenza qui impugnata, deliberata il 25 ottobre 2013 e depositata in data 11 marzo 2015, non tiene, infatti, conto delle modificazioni introdotte dal codice deontologico forense, entrato in vigore il 15 dicembre 2014.
Al sensi dell'art. 65, comma 5, della legge n. 24/ del 2012, le disposizioni del codice deontologico si applicano anche ai procedimenti in corso se più favorevoli.
Orbene, il nuovo codice deontologico forense non prevede la sanzione della cancellazione, applicata dal COA e confermata dal CNF con la sentenza qui impugnata. 
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con riferimento alla sanzione applicata, con rinvio al Consiglio Nazionale Forense perché, in diversa composizione, provveda nuovamente in ordine al trattamento sanzionatone applicabile per gli illeciti accertati".

domenica, ottobre 09, 2016

Riflessioni sparse sul Congresso di Rimini.

Di ventennio in ventennio cambia l'assetto dell'avvocatura. Di ventennio in ventennio cambia anche la consistenza della nostra tonicità muscolare, e il nostro aspetto.
Ci abbiamo messo 70 anni per fare una riforma della Legge Forense. Ci rivediamo tra settanta anni: io avrò appena 130 anni, un giovanottino…..
Suicida l'OUA, assassinato il sogno della piccola media borghesia all'assalto del castello dell'Avvocatura, dove si sono asserragliati non i Templari dell'avvocatura, come qualcuno pensa, ma altri piccoli medi borghesi più veloci e più scaltri.
Restano fuori, come nel Medioevo, i meno abbienti, le teste pensanti, i non allineati.
I castelli però possono essere assediati: la comunicazione è essenziale e si fa sui social, sui blog, su internet.
L'Italia è abituata agli invasori, e a quelli che salgono sul carro dei vincitori.
Ma gli italiani, gli avvocati italiani, nel loro individualismo, hanno anche il DNA della ostinata contraddizione.
Come è finita poi con il tema del Congresso? Se non sbaglio era "La giustizia fuori dal processo": ah no, era "Gli avvocati fuori dai coglioni".
Avv. Giuseppe Caravita

Avvocatura: nasce l'OCF.

martedì, ottobre 04, 2016

Quando si perfeziona la notifica a mezzo del servizio postale? (Cass. Civ. n. 19730-2016)

"Ad avviso del Collegio, la notifica a mezzo posta eseguita mediante consegna dell'atto a persona diversa dal destinatario, pur se nel luogo indicato sulla busta che contiene l'atto da notificare, non può considerarsi perfezionata, dopo l'entrata in vigore della legge n. 31 del 2008, senza l'ulteriore adempimento della spedizione, allo stesso destinatario dell'atto, della lettera raccomandata con cui l'agente postale lo informa dell'avvenuto recapito dell'atto al terzo estraneo, pur abilitato a riceverlo. In altri termini, la notificazione a mezzo posta non coincide con la consegna dell'atto a persona, pur abilitata, ma diversa dal destinatario: il procedimento notificatorio attende, per il suo completamento, l'ulteriore elemento della fattispecie a formazione progressiva, costituito dall'invio al destinatario medesimo, a cura dell'agente postale, della prescritta lettera raccomandata con cui si dà notizia dell'avvenuta notificazione dell'atto.
Siffatta interpretazione dell'art. 7 della legge n. 890 del 1982 si pone in linea con i precedenti di questa Corte.
Per un verso, infatti, si è statuito (Cass. Pen., Sez. VI, 17 novembre 2010, dep. 2 febbraio 2011, n. 3827) che la notifica a mezzo posta eseguita mediante consegna dell'atto a persona diversa dal destinatario, pur se al domicilio dichiarato, non può considerarsi perfezionata, dopo l'entrata in vigore della legge n. 31 del 2008, finché non sopraggiunga l'ulteriore adempimento della spedizione allo stesso destinatario della lettera raccomandata che lo informa dell'avvenuto recapito dell'atto al terzo estraneo.
E per l'altro verso si è rilevato (Cass. civ., Sez. V, 25 gennaio 2010, n. 1366; Cass. civ. , Sez. Lav. , 21 agosto 2013, n. 19366) che, in caso di consegna del piego a persona diversa dal destinatario dell'atto, l'omessa attestazione della spedizione della lettera raccomandata dall'ultimo comma dell'art. 7 costituisce, non una mera irregolarità, ma un vizio dell'attività dell'agente postale che determina, fatti salvi gli effetti della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, la nullità della notificazione nei riguardi del destinatario.
Ne deriva che, ove oggetto della notificazione a mezzo del servizio postale sia una sentenza ed il piego che la contiene sia consegnato, non personalmente al destinatario, ma ad un terzo abilitato a riceverlo, il termine breve per l'impugnazione, di cui all'art. 325 cod, proc. civ., decorre dalla data di perfezionamento della notificazione, coincidente, non con quella della consegna del piego, ma con il momento, successivo, della spedizione, al destinatario medesimo, della prescritta lettera raccomandata informativa a cura dell'agente postale".

Cassazione Civile Sent. Sez. 2 sent. num. 19730 del 03/10/2016 - Presidente: BUCCIANTE Relatore: GIUSTI.

sabato, ottobre 01, 2016

Il Paese degli “azzeccagarbugli”.

Caro Pinocchio di Premier, ciao, sono Michele e di professione faccio l'azzeccagarbugli. Cosi mi hai definito ieri su La7.
Quello della scorsa sera è stato davvero un bieco tentativo di diffamare un'intera categoria, colpevole solo di dover difendere i diritti (anche e soprattutto costituzionali) dei cittadini.
Quindi, caro il mio bugiardone, la verità è un'altra.
La verità non è, come hai detto, che l'art. 117 della Costituzione ed il bicameralismo paritario, hanno creato una paralisi del sistema e l' eccesso di ricorsi alla Corte Costituzionale, ingrossando le parcelle degli avvocati ed ingolfando la Corte Costituzionale.
Questo, caro il mio buffone, non è "il paese degli azzeccagarbugli, dove i cittadini fanno le cose semplici e tocca all'avvocato complicarle".
Il vero problema caro il mio Pinocchio, sei tu e quella banda di politici incompetenti che abbiamo in parlamento.
Il problema è la totale assenza di leggi (quelle vere) per la presenza di un organo legislativo fatto di incapaci, diventato sterile per le troppe pressioni politiche che lo caratterizzano (interne al PD... oltre che esterne - ad oggi ancora non si comprende quanti galli avete nel pollaio).
Il problema è un Governo che legifera abusando dello strumento d'urgenza (decreti legge).
Se leggi la Costituzione, caro il mio costituzionalista mediatico, ed in particolare l'art. 77, comprenderai che solo 'in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge'...
Quindi, caro il mio diffamatore, non si usa il DL per eliminare l'anatocismo bancario, o per mettere le scatole nere nei veicoli ed aiutare le compagnie assicurative.
Il problema, dunque, sono gli errori che caratterizzano questa attività (chiamiamola) normativa (la vostra) che presta il fianco (anzi i fianchi) ad attacchi difensivi che, comunque, vengono fatti solo a tutela dei diritti del cittadino e non per spirito di azzeccagarbuglismo.
Caro il mio yuppie arrogante, da quando tu ed i tuoi compari (compresi i tuoi predecessori) siete entrati nella stanza dei bottoni, avete fatto di tutto per evitare l'accesso alla giustizia: eh sì.. bel modo di risolvere il problema.
Quindi, spiegami la tattica: se la gente piscia fuori dal vaso, voi ritenete di risolvere il problema chiudendo i cessi?
Ma guarda che fare la 'pipì' è un bisogno e la gente anche se chiudi i cessi, la fa ugualmente... ma la fa fuori.
Così è la giustizia, caro menzognero fiorentino: è un bisogno e tu non puoi chiudere i tribunali o scrivere porcherie normative per ridurre ed evitare l'accesso alla giustizia o reprimere ingiustamente i diritti.
Sennò la gente si difende in altro modo... e poi diventa il far west.
Lo avete fatto con la mediazione, con la negoziazione assistita, con il codice delle assicurazioni, con gli aumenti di bolli e contributi unificati, con la riduzione delle tariffe, con le decadenze processuali, con le finanziarie di Monti che hanno bloccato i pignoramenti, ecc ecc.
Con il processo telematico però vi siete superati perche siete stati cosi arroganti ed imbecilli da non capire che se vuoi riformare il processo civile devi toccare il codice di procedura civile (eh si...cosi si chiama il codice che disciplina il rito civile) e non creare un pastrocchio di decreti legge convertiti con modifiche, che poi sono stati rimodificati da altri DL convertiti con altre modifiche che si rimettono a regolamenti e poi a regole tecniche (che non si sa a quale fonte del diritto appartengano). Come vedi, caro il mio incompetente capo del mio gabinetto, la colpa non è degli avvocati che impugnano ma di un legislatore che lascia buchi, buchi cosi grossi che non capisci se è solo ignorante o pure affetto da qualche forma di ritardo mentale grave.
Altrettanto scandalosa (se non di piu) è la totale assenza di commenti da parte dei nostri rappresentanti al CNF, il che fa capire come il loro apparato gustativo sia attaccato saldamente a quello intestinale del ministro Orlando: direi con matematica certezza che non si capisce quando finisce la loro lingua e quando inizia il suo ano.
Questa è una ragione in piu per non votare, al prossimo congresso, la mozione Agorá nè la bozza Paparo che distrugge l'OUA... non ci rappresentate e sicuramente farete gli interessi di questi bugiardoni, che si vantano di avere ridotto i tempi della sentenza a 367 giorni (facendo la media tra una causa normale che viene rinviata di anno in anno(i) e un procedura di volontaria giurisdizione che si risolve due giorni dopo che viene iscritta).
È come se dicessi che in media per avere una pizza ci vogliono 2 minuti facendo la statistica tra le pizzerie da asporto e quelle del sabato sera. Si chiama paradosso di Simpson... Orlando...no, non è quello che va in onda alle 14 su Italia1.
No. Non potete permettervi di parlare di diritto, nel paese ove è stato creato il diritto.
Andate a casa.

Avv. Michele Iapicca 
(Rende – Calabria)