venerdì, giugno 27, 2014

AIGA: IL PARADOSSO DEL PROCESSO CIVILE TELEMATICO, FA RISPARMIARE LA MACCHINA DELLA GIUSTIZIA, MA COMPORTA L’AUMENTO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO!

(Roma, 27 giugno 2014) «L'entrata in vigore del Processo Civile Telematico il prossimo 30 giugno, data nota ormai da un paio d'anni, ha tuttavia reso necessario l'utilizzo della decretazione di urgenza. Perché questo purtroppo è lo stato del nostro Paese: urgenza di analisi serie e ponderate che tengano conto delle conseguenze di determinate scelte. È tempo che lo sguardo sia rivolto veramente al futuro e abbandoni la miopia che è ha caratterizzato interventi spot, senza alcun progetto complessivo sulla giustizia».
È netta la posizione di Nicoletta Giorgi, presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati, a pochi giorni dall’attesa entrata in vigore del PCT. Una data tanto attesa dai giovani avvocati, una vera riforma epocale degli ultimi tempi, «risultato di un confronto intellettualmente onesto - AIGA ha denunciato i veri numeri di attuazione del processo telematico - ma allo stesso tempo determinato a non abbandonare il percorso intrapreso e sul quale crediamo fermamente», spiega l’avvocato Giorgi. Il paradosso del PCT: lo Stato risparmia, ma aumenta il contributo unificato L'introduzione del PCT non si è però sottratto ad una apparente illogicità di fondo: «Telematizzare – spiega la presidente dei giovani avvocati - significa far risparmiare lo Stato, e questo a detta del ministro che a dicembre ha reso noto le cifre a sei zeri, tuttavia ha comportato l'aumento (l'ennesimo) del contributo unificato. Il PCT oltre a portare le novità evidenti a tutti ha confermato una volta di più un sospetto che circolava da tempo: il contenzioso giudiziario costituisce una voce delle entrate statali in costante crescita e senza che ciò comporti scioperi da parte dei sindacati. Si perché lo sciopero dell'avvocatura, in qualsiasi forma venga svolto, abbiamo visto che purtroppo non incide sulle scelte economiche del Paese. Ubi maior...».
Dove sono finiti i milioni di euro raccolti dal sistema Giustizia nel corso degli anni? Nel caso di aumento in questione la cosa però è un po' diversa rispetto al solito: dando agli avvocati il potere di autenticare gli atti formatisi all'interno del processo telematico (togliendo così i costi dei diritti di autentica) si tolgono allo Stato 15 milioni di euro per il 2014 e 42,5 milioni di euro per il 2015. «Dove sono finiti – chiede l’avvocato Giorgi – tutti questi soldi pagati negli scorsi anni? Perché oggi il ministero della Giustizia stanzia 8 milioni per il PCT passando il provvedimento come una grande concessione dettata dalla situazione da noi denunciata?»
Se la giustizia, ossia la richiesta di tutele del cittadino, di rispetto di quelle regole che giustificano la creazione della società civile, è un sostentamento economico per il Paese, allora è giusto che, il cittadino che chiede giustizia abbia di più.
«Se è pur vero che nei procedimenti monitori fino a 52.000 euro di valore, l'aumento del contributo unificato è compensato dalla eliminazione dei diritti di autentica, le cause ordinarie non godranno in automatico di tale operazione, ma anzi saranno solo più costose. Perché non intervenire in modo mirato solo sui procedimenti monitori a condizioni immutate? Perché non utilizzare per la giustizia gli importi pagati per il suo accesso da parte dei cittadini? Perché lo Stato ha bisogno di denaro e le uscite in alcuni settori sono emorragiche. È tempo però che si giochi a carte scoperte», invita la presidente dei giovani avvocati italiani. Lunedì la presentazione del pacchetto giustizia: «Orlando dimostri di passare dalle parole ai fatti»
Lunedì il ministro Orlando presenterà il pacchetto giustizia: un’occasione per mostrare che i propositi saranno trasformati in provvedimenti concreti. «Il ministro – conclude Nicoletta Giorgi – dovrà dimostrare che il cittadino avrà finalmente un sistema giustizia efficiente, che esiste un progetto complessivo e realistico alla cui realizzazione non si dovranno inserire ostacoli economici, perché si distribuiscono in altre aree il denaro proveniente dal settore giustizia, ostacoli legati ad un sistema organizzativo ingessato, interessi di lobby (quelle vere) a non cambiare lo stato delle cose».

Deontologia: Amnistia e indulto non si applicano in ambito disciplinare.

Le disposizioni in tema di amnistia ed indulto non si applicano alle infrazioni e sanzioni disciplinari, stante l’ontologica differenze di queste ultime rispetto ai reati ed alle sanzioni penali (Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha rigettato l’istanza di indulto).

Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Salazar), sentenza del 20 febbraio 2014, n. 10

sabato, giugno 21, 2014

Deontologia: i criteri per la determinazione della sanzione più idonea da irrogarsi in concreto.

In tema di procedimento disciplinare, il potere di irrogare una sanzione, adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari che, in mancanza di una previsione di legge contraria, si avvalgono, in via di applicazione analogica, dei principi desumibili dagli articoli 132 e 133 del codice penale.
 (In applicazione del principio di cui in massima, avuto riguardo alla intensità della condotta dell’incolpato, alla lieve entità del danno nei confronti dell’esponente, alla mancanza di precedenti dell’incolpato, il CNF ha ridotto la sanzione disciplinare inflitta dal COA).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. De Giorgi), sentenza del 18 luglio 2013, n. 113.

NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Perfetti, Rel. Morlino), sentenza del 2 marzo 2012, n. 34.

mercoledì, giugno 18, 2014

Aumenta ancora il contributo unificato: alle stelle il costo di una causa.

Il recente decreto legge “Crescita e semplificazione” prevede un ulteriore aumento del contributo unificato, la tassa che i cittadini pagano per poter accedere alla giustizia.
Dalla bozza del DL circolata in queste ore, sembra ormai certo l’intervento del Governo sul balzello dovuto da chi inizia una causa in tribunale: un’escalation che, dal 2002, ha visto un incremento percentuale fino al 143%.
 Ecco alcuni degli aumenti indicati nel testo del decreto legge: Per i processi di esecuzione il contributo passa a 278 euro: questa misura è il riferimento per gli altri processi esecutivi, per i quali il contributo è dovuto nella misura di 139 euro.
Per i processi esecutivi di valore inferiore a 2.500 euro la previsione del decreto fissa a 43 euro l’importo da versare.
Per i processi di opposizione agli atti esecutivi la misura del contributo tocca 168 euro. Si impenna anche il contributo per la procedura fallimentare, e cioè per la procedura dalla sentenza dichiarativa di fallimento alla chiusura: il contributo dovuto passa da 740 euro a 851 euro.
Tribunali off limits: Dal 2002 l’incremento percentuale registra un +143% per le cause fino a 1.033 euro; oltre +50% per le cause fino a 25 mila euro; oltre +67% per le cause fino a 52 mila euro; oltre +80% per le cause superiori a 52 mila euro.
Il rincaro è ancora maggiore se si pensa all’incremento del diritto forfettario per le comunicazioni di cancelleria, che è passato da 8 euro a 27 euro: diritto forfettario che – è bene ricordarlo – viene pagato in misura fissa e, pertanto, incide di più sulle fasce più basse e, quindi, sulle cause di valore minimo.
Quale saranno le conseguenze di questo ulteriore aumento? Certamente il primo effetto sarà un disincentivo a intraprendere cause per chi, come il privato cittadino, utilizza la giustizia non per fini imprenditoriali (come, invece, è per assicurazioni o banche), ma per far valere dei propri diritti, nell’incertezza, peraltro, dell’esito e dei tempi.
Una giustizia per soli ricchi? Lo è già da tempo.

lunedì, giugno 16, 2014

"ORA VOSTRO ONORE PAGATE PER L'ERRORE".

Dicono: una legge sulla responsabilità civile dei giudici che hanno agito per dolo e colpa grave, la vogliono i corrotti per vendicarsi delle inchieste.
Falso: la vogliono 20 milioni e 770.334 italiani (oltre l’80 per cento dei votanti) che nel novembre 1987 si espressero a favore di una sanzione per chi ha abusato del proprio potere, distorcendo con dolo le norme dello Stato di diritto.
Dicono, come ha fatto Eugenio Scalfari su Repubblica: ma così, chiunque sia stato riconosciuto innocente in un processo, può vendicarsi.
Falso: i magistrati eventualmente costretti a risarcire un cittadino perseguitato non devono rispondere di un esito giudiziario favorevole a quel cittadino, ma per una condotta giudiziaria macchiata da dolo e colpa grave.
Dicono: ma così si lasciano soli i magistrati di fronte al ricatto dei potenti. Falso: a decidere se un magistrato ha violentato la legge e la procedura sarà un collegio di altri giudici, non un tribunale del popolo.
Dicono: ma adesso c’è già una legge che sanziona comportamenti dolosi da parte di un magistrato. Falso: se un magistrato viene ritenuto (da altri magistrati) colpevole, a risarcire è lo Stato e dunque i magistrati che si macchiano di dolo e colpa grave potranno, come fanno, agire indisturbati sapendo che a pagare non saranno loro, ma tutti i cittadini con le loro tasse.
Dicono: ma una legge sulla responsabilità civile dei magistrati per dolo e colpa grave (o «violazione manifesta del diritto») sottopone i magistrati a un forte stress.
Vero: li costringe a lavorare bene e con attenzione scrupolosa, come i medici quando entrano in una sala operatoria o gli ingegneri quando progettano un ponte, perché la libertà delle persone è sacra come la loro vita, e non si può manipolarla per dolo, colpa grave o manifesta violazione del diritto acclarati da una sentenza di altri giudici.
Dicono: ma una legge del genere farebbe dell’Italia un unicum .
Falso: una legge che permette allo Stato di rivalersi sui giudici c’è, con regole ben precise, in Spagna, in Germania («dolo o colpa grave»), in Francia («mancanza intenzionale particolarmente grave» o addirittura «diniego di giustizia»), in Belgio e in Portogallo («frode» e «dolo grave»).
Dicono: ma in Italia, comunque, lo Stato sa sanzionare comportamenti negligenti o dolosi. Falso: farebbero bene a leggere Operazione Montecristo , il libro di Lelio Luttazzi, la cui vita fu distrutta nel 1970 da un’iniqua detenzione non sanata dal proscioglimento successivo.
I giudici che si macchiarono d’una simile nefandezza sono stati addirittura premiati, come del resto gli inquirenti del caso Tortora, che hanno in seguito fatto brillanti carriere malgrado la persecuzione di cui sono stati colpevolmente protagonisti.
È probabile che il voto della Camera, che ha approvato finalmente una legge civile, sarà cancellato dal Senato.
Il timore è che sia vero: il Pd di Renzi sta rottamando tutto, ma non la sudditanza al giustizialismo feroce che l’ha dominato in questi anni?

PIERLUIGI BATTISTA

(CORRIERE DELLA SERA 16 GIUGNO 2014, rubrica PARTICELLE ELEMENTARI )

Vigilantibus iura succurrunt.

I Ministeri hanno vigilato e con una recente allegata hanno rimesso il regolamento a Cassa Forense perché si determini ad apportare le opportune modifiche al regolamento posto al vaglio.
Tentiamo un primo commento. Il Presidente di Cassa Forense ha già integrato all’uopo l’ordine del giorno del Comitato dei Delegati convocato per il 20 giugno 2014 dichiarando ad Italia Oggi che di semplici chiarimenti si tratterebbe confermandolo con una lettera inviata a tutti gli Ordini proprio in questi giorni. Forse la nota Ministeriale va valutata con attenzione.
Con la delibera in esame, il Comitato dei Delegati ha adottato un regolamento che, oltre ad individuare le soglie reddituali che danno luogo ad agevolazioni contributive, ha operato una revisione dell’intero assetto previdenziale.
Il regolamento de quo appartiene alla categoria delle fonti giuridiche secondarie, con rilevanza esterna, che, come quelli ministeriali, devono essere conformi alla delega che con la legge 247/2012, fonte primaria, viene conferita a Cassa Forense.
Il regolamento si è allontanato decisamente dai limiti che la legge gli imponeva, disciplinando ipotesi che con l’art. 21, commi 8 e 9, non hanno alcuna connessione né logica né giuridica. I Ministeri Vigilanti, a mio sommesso avviso, danno atto dell’eccesso di delega nella formulazione del regolamento quando scrivono che ha operato una revisione dell’intero assetto previdenziale.
Questo fa dire ai Ministeri Vigilanti che Cassa Forense dovrà realizzare un percorso di armonizzazione delle discipline fino a pervenire all’unificazione dei regolamenti generali. Quali sono le norme da intendersi abrogate?
Nell’immediato è necessario però limitare i rinvii interni o almeno esplicitarne in sintesi i contenuti ed in particolare ripensare la formulazione dell’art. 14, comma 2, per il quale «ogni disposizione incompatibile con le norme del presente regolamento si intende abrogata».
Correttamente i Ministeri chiedono di individuare gli specifici interventi abrogativi. In soldoni quali sono le norme da intendersi abrogate? Per quanto attiene al merito del regolamento i Ministeri rilevano: - che l’art. 1 del regolamento in esame, che fissa la decorrenza dell’iscrizione obbligatoria alla Cassa alla data di entrata in vigore della riforma di rango primario, ovvero al 02.02.2013, non appare in linea con il quadro normativo di riferimento.
Per i Ministeri Vigilanti non sarebbe ragionevole considerare iscritto ad una Cassa di Previdenza alcun soggetto senza aver prima disciplinato le conseguenze di tale iscrizione, con particolare riferimento alla determinazione dei parametri finalizzati all’individuazione degli oneri economici gravanti sugli assicurati, posto che non potrebbe esservi iscrizione alla Cassa senza il versamento dei contributi.
Con cio’ contraddicendo (confermando quanto da noi sempre sostenuto), sul punto, la ordinanza collegiale emessa in sede di reclamo del Tribunale di Roma. I Ministeri Vigilanti hanno in tal modo messo in sicurezza i 53.000 avvocati iscritti all’Ordine ma non ancora in Cassa Forense rispetto alle interpretazioni della legge offerte dal management di cassa forense e dal Tribunale di Roma.
Resta invece aperto il problema per i 34.000 giovani avvocati i quali, pur se titolari di redditi inferiori ai minimi previsti per l’iscrizione obbligatoria, si sono comunque iscritti in Cassa Forense e proprio in questi giorni sono raggiunti da una lettera dell’ufficio riscossioni e liquidazioni pensioni di Cassa Forense che intima loro il pagamento dei contributi minimi pari ad € 2.780,00 per contributo minimo soggettivo, € 700,00 per contributo minimo integrativo ed € 151,00 per contributo per l’indennità di maternità.
Su Facebook è stata resa pubblica “la supplica” inviata da una giovane Collega a Cassa Forense con la quale si chiede addirittura la cancellazione ove non si possa rateizzare le annualità di debito contributivo.
Sul punto i Ministeri Vigilanti hanno preso atto della scelta più ampia rispetto al precetto di legge di limitare temporalmente le agevolazioni previste per i percettori di redditi sotto soglia, nell’intento dichiarato di favorire lo start up – in particolare quello giovanile di categoria.
Sarebbe importante che Cassa Forense, nel corso dell’iter di approvazione del regolamento, tranquillizzasse anche questi 34.000 avvocati che, com’è noto a chi scrive, sono angosciati per la volontà di versare la contribuzione e la mancanza di risorse finanziarie.
I Ministeri Vigilanti introducono poi una vera e propria tagliola previdenziale quando sostengono che l’art. 1, comma 4, del proposto regolamento, presenta possibili profili di illegittimità in quanto appare in contrasto con il comma 10 legge n. 247/2012.
Per i Ministeri Vigilanti la disposizione regolamentare sembra consentire ciò che la norma vieta, ovvero la contemporanea iscrizione ad altri Albi professionali con la produzione di redditi diversi rispetto a quelli percuotibili dalla Cassa e, quindi, la contemporanea iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria.
Qui si pone il problema degli avvocati i quali, oltre alla professione forense esercitata con continuità ed effettività, svolgano anche un’altra professione.
Pensiamo agli avvocati giornalisti. Forse che i contributi dovuti in relazione all’altra professione dovranno essere versati a Cassa Forense?
La contemporanea iscrizione ai due albi era consentita ma per l'esercizio di entrambe le professioni era necessario oltre all'estensione della P. IVA per due distinte categorie anche l'iscrizione ad entrambe le Casse di previdenza. La legge n. 247/2012 ha sovvertito il sistema precedente?
Una prima risposta si può trovare nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 11833/2013) che ha rigettato tutte le censure mosse contro tre distinti provvedimenti di cancellazione dall’Albo degli avvocati per incompatibilità tra libera professione e rapporto di pubblico – dipendente, assunti da tre differenti consigli dell’ordine, decisioni confermate dal Consiglio Nazionale Forense e validate, da ultimo, dalle Sezioni Unite.
Un discorso un po’ diverso va fatto per quanto riguarda i lavoratori part-time. Infatti, la legge n. 662/1996 al comma 56 prevedeva: «le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l’iscrizione in Albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno» mentre al 56 bis stabiliva: «sono abrogate le disposizioni che vietano l’iscrizione ad Albi e l’esercizio di attività professionali per i soggetti di cui al comma 56. Restano ferme le altre disposizioni in materia di requisiti per l’iscrizione ad Albi professionali e per l’esercizio delle relative attività».
Tuttavia il legislatore, dopo qualche anno, è tornato sulla materia, con particolare riguardo alla professione di avvocato, manifestando un intendimento diverso con la legge n. 339/2003 per la quale all’art. 1 si legge: «le disposizioni di cui all’art. 1, commi 56, 56 bis e 57, della legge 23.12.1996, n. 662 non si applicano all’iscrizione agli Albi degli avvocati per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 oggi riscritto dalla legge 247/2012».
Per la Suprema Corte di Cassazione l’incompatibilità tra impiego pubblico part-time ed esercizio della professione forense risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata e ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro del pubblico dipendente.
Questi ragionamenti valgono anche per altre professioni diverse da quella forense? Ci sono tutti gli avvocati insegnanti!
In considerazione poi degli elementi di forte indeterminatezza di tipo attuariale, i Ministeri Vigilanti chiedono a Cassa Forense di prevedere all’interno del corpo regolamentare, forme di eventuale revisione della soglia reddituale nonché delle agevolazioni in ordine ai minimi contributivi di cui agli artt. 7 e 9, decorso un anno dall’entrata in vigore della novella in esame al fine di garantire, secondo le future valutazioni attuariali, quel monitoraggio assiduo dei flussi contributivi che lo stesso studio attuariale ritiene necessario per disporre di risultati maggiormente significativi, in quanto più conformi alla nuova realtà della professione.
Come si vede non saranno sufficienti delle semplici correzioni integrative ma l’intero regolamento dovrà essere rimeditato e riscritto.
Evidenza delle criticità rilevate per i Ministeri Vigilanti si registra nella scelta operata dalla Cassa di fissare i minimi contributivi per coloro che sono al di sotto dei parametri reddituali, operando un richiamo ai minimi già previsti dal regolamento dei contributi, piuttosto che prevederne di nuovi ed autonomi.
I termini usati dai Ministeri Vigilanti “nuovi ed autonomi” portano a pensare che nel pensiero dei vigilanti vi siano due gestioni separate ed autonome, una per i vecchi iscritti e una per i nuovi caratterizzata questa ultima dal metodo di calcolo contributivo come la legge delega stessa suggerisce.
Tale impostazione troverebbe però il suo esclusivo fondamento nei limiti reddituali e in quanto tale si porrebbe in palese contrasto con l’art. 14 delle CEDU che vieta appunto ogni forma di discriminazione su base censuaria.
Per venirne a capo, secondo noi, non c’è che una strada maestra: l’opzione per tutti al sistema di calcolo contributivo con abolizione dei minimi, introduzione - accanto alla pensione minima - della pensione sociale forense - di importo pari alla pensione sociale INPS da garantire a tutti e contestuale avvio di un piano di ammortamento del debito previdenziale maturato da ripartirsi, proporzionalmente, tra tutti coloro che sin qui ne hanno beneficiato.
Ogni altra soluzione sarebbe un pasticcio dalle ricadute molto pesanti in termini di stabilità economico finanziaria di lungo periodo.
In giuoco vi è il futuro previdenziale di 90 mila avvocati per lo più in giovane età e senza i suoi giovani Cassa Forense non potrebbe avere futuro. Non dormientibus!

di Paolo Rosa - Avvocato

martedì, giugno 10, 2014

Papa Francesco: fare giustizia non è solo punire ma riabilitare.

Fare giustizia non è solo punire l’autore di un crimine, né vendicarsi di lui, ma aiutarlo a riabilitarsi dentro di sé e nella società, così come prendersi cura con scrupolo delle vittime.
Lo afferma Papa Francesco in un lungo messaggio inviato sia ai partecipanti del 19.mo Congresso internazionale dell'Associazione internazionale di Diritto penale – che si svolgerà tra fine agosto e i primi di settembre a Rio de Janeiro – sia a coloro che prenderanno parte al terzo Congresso dell'Associazione latinoamericana di Diritto Penale e Criminologia.
Tre modelli biblici – Il Buon samaritano, il Buon ladrone e il Buon Pastore – per penetrare fin nelle pieghe del diritto a comprendere che amministrare la giustizia è più che mettere le mani sul colpevole ed emettere contro di lui una sentenza, se tale giustizia non dà spazio e precedenza alle vittime perché essa è prima di tutto rispetto per “la dignità” e i “diritti della persona umana, senza discriminazioni e con le debite tutele verso le minoranze”. Papa Francesco si addentra con precisione e la consueta chiarezza nel regno dei codici, che rischiano di far rispettare la lettera e la ratio della legge dimenticando l’anima.
Tre gli elementi sui quali concentra l’attenzione: la “soddisfazione o riparazione del danno provocato”, la “confessione, con cui – dice – l'uomo esprime la sua conversione interiore”, e la “contrizione” che lo porta a incontrare “l’amore misericordioso e guaritore di Dio”.
Al suo popolo, ricorda, il Signore “ha insegnato poco a poco” che “esiste una asimmetria necessaria tra delitto e castigo, per cui a un occhio o a un dente rotto non si rimedia rompendone un altro. Si tratta di rendere giustizia alla vittima, non di giustiziare l'aggressore”.
Un “buon modello” di ciò, afferma, lo si ravvisa nel comportamento del Buon Samaritano che prima di mettere il colpevole di fronte alle conseguenze del suo atto, si china su “chi è stato ferito lungo la strada e si prende cura dei suoi bisogni”.
Una sensibilità poco presente nella nostra società, nella quale – osserva Papa Francesco – “si tende a pensare che i crimini siano risolti quando si cattura e condanna l'autore del reato, tralasciando il danno commesso o senza prestare sufficiente attenzione alla situazione in cui versano le vittime. Ma sarebbe un errore – asserisce – identificare la riparazione solo con la punizione, confondere la giustizia con la vendetta, che aumenterebbe solo la violenza, anche se è istituzionalizzata”.
 E del resto, soggiunge, aumentare o inasprire le pene non è che risolva i problemi sociali, “né porta a una diminuzione dei tassi di criminalità”, senza contare le ricadute sociali come le carceri sovraffollate o i prigionieri detenuti senza processo...
“In quante occasioni – è la considerazione di Papa Francesco – si è visto il reo espiare la pena oggettivamente, scontando la propria condanna ma senza cambiare interiormente né sanare le ferite del suo cuore”.
Il Papa si appella ai media perché, nel “loro legittimo esercizio della libertà di stampa”, siano scrupolosi nell’“informare correttamente e non creare allarme o panico sociale quando si hanno notizie di fatti criminali”.
Sono in gioco, scandisce, “la vita e la dignità delle persone, che non possono trasformarsi in casi clamorosi, spesso anche morbosi, che condannano i presunti colpevoli al discredito sociale prima di essere stati giudicati o costringono le vittime, mirando al sensazionalismo, a rivivere pubblicamente il dolore patito”.
Sull’aspetto della confessione, Papa Francesco sostiene che “se l'autore del reato non è sufficientemente aiutato, non gli si offre l'occasione perché possa convertirsi e finisce per essere una vittima del sistema”.
“È necessario fare giustizia – ripete – ma la giustizia vera non si accontenta di punire solo i colpevoli”.
Si deve fare “tutto il possibile per correggere, migliorare ed educare l'uomo a maturare in tutte le sue forme, perché non si scoraggi, faccia fronte al danno causato e riesca a rilanciare la sua vita senza essere schiacciato dal peso delle sue miserie”.
In questo caso, il modello biblico della confessione è il Buon ladrone, al quale “Gesù promette il Paradiso, perché fu capace di riconoscere la sua colpa”, rammenta Papa Francesco, che poi constata come “non di rado” il reato sia “radicato nelle disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti di corruzione e del crimine organizzato”, che cerca i propri complici “tra i più forti” e le proprie vittime “tra i più vulnerabili”. “Non basta avere leggi giuste” per combattere un tale “flagello”, ravvisa il Papa, ma “è necessario formare persone responsabili e capaci di attuarle”.
Terzo aspetto, la “contrizione”, definita da Papa Francesco, “la porta del pentimento” e la “via privilegiata che conduce al cuore di Dio, che ci accoglie e ci offre un'altra possibilità, se ci apriamo alla verità della penitenza e ci lasciamo trasformare dalla sua misericordia”.
Qui l’esempio è dato dal Buon Pastore, che va in cerca della pecora perduta.
Quando si riferisce al Padre che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, Gesù – indica il Papa, “invita i suoi discepoli a essere misericordiosi, a fare del bene a coloro che fanno del male, a pregare per i nemici, a porgere l'altra guancia, non a serbare rancore”.
In questo modo, “l'atteggiamento di Dio che anticipa l'uomo peccatore offrendogli il perdono”, si presenta “come una giustizia superiore, allo stesso tempo leale e compassionevole, senza alcuna contraddizione tra questi due aspetti”.
Il perdono – sottolinea Papa Francesco, “non elimina né diminuisce la necessità di correzione, propria della giustizia, né prescinde dalla necessità della conversione personale, ma va oltre, cercando di restaurare le relazioni e reintegrare le persone nella società”.
Non si tratta allora di trovare mezzi in grado di “sopprimere, scoraggiare e isolare” gli autori del male, ma che li aiutino a “camminare per i sentieri del bene” ed è per questo, nota ancora Papa Francesco, che la Chiesa invoca una “giustizia che sia umanizzante” e “realmente capace di riconciliare”.
 Tutto questo, conclude il Papa, si condensa in “una sfida da raccogliere”, perché non cada nel dimenticatoio”. Perché ci siano misure che consentano al perdono di “rimanere non solo nella sfera privata”, ma di raggiungere “una vera dimensione politica e istituzionale”, creando “relazioni di armoniosa convivenza”.

tratto dal sito internet: www.vatican.va

venerdì, giugno 06, 2014

Pct obbligatorio: verso il d-day del 30 giugno.

In vista dell'avvio del Pct, l’Oua chiede «gradualità nella fase di transizione», indica come «fondamentali ulteriori investimenti sul piano infrastrutturale e sulla formazione» e la necessità di «fornire strumenti adeguati anche per gli uffici dei giudici onorari».
 Il Cnf chiede di garantire «omogeneità sul territorio e misure di tutela in caso di malfunzionamento del sistema».
E deposita al Ministero un vero e proprio decalogo di proposte per superare i primi problemi di applicazione.
Il Consiglio nazionale forense chiede in particolare di:
  1. prevedere la possibilità per il difensore di autenticare le copie analogiche e informatiche di tutti gli atti del processo anche ai fini notifica con la previsione di un “diritto” annuale; 
  2. chiarire la non applicabilità dell’articolo 147 del Cpc (tempo delle notificazioni) alle notifiche telematiche; 
  3. eliminare le sottoscrizioni delle parti nel processo e, in particolare, modificare la norma al fine di statuire che il teste non deve firmare il verbale redatto in forma digitale; 
  4. prevedere misure in caso di erronea comunicazione Pec da parte di imprese e avvocati; 
  5. eliminare il deposito della nota di iscrizione a ruolo nei procedimenti (contenzioso civile ed esecuzioni) che prevedono l’atto introduttivo telematico (sostituita dal file xml); 
  6. definire il concetto di domicilio informatico dell’avvocato; 
  7. estensione dei formati dei documenti ammessi al deposito; 
  8. non rendere visibile il deposito dei ricorsi cautelari proposti in corso di causa, né il provvedimento del magistrato, in particolare se è di accoglimento;
  9. prevedere, un sistema automatico che renda visibile, sul portale, le memorie alla controparte solo dopo la scadenza del termine per il relativo deposito; 
  10. prevedere modalità di deposito telematico di note a verbale in udienza; permettere all’avvocato di vedere, dal proprio punto d’accesso, l'esito delle comunicazioni di cancelleria; 
  11. eliminare l’accettazione manuale dei depositi da parte del cancelliere e sostituirlo con controlli completamente automatizzati (quarta Pec);
  12. eliminare la parte dell'art. 13 del dm 44/2011 che prevede lo slittamento del deposito al giorno successivo se la ricevuta di consegna arriva dopo le ore 14.

GIUSTIZIA STRACCIONA.

martedì, giugno 03, 2014

ELEZIONE DEI DELEGATI AL CONGRESSO NAZIONALE DI VENEZIA.

VPO E GOT IN ASTENSIONE PER 5 GIORNI.

Scatta domani in tutti i tribunali d'Italia, la cinque giorni di astensione dal lavoro, da parte dei magistrati onorari.
"Cambiano i governi - dice Pietro Brovarone, magistrato onorario e consigliere nazionale del sindacato di categoria Federmot -, ma i problemi restano i medesimi. Attendiamo una riforma dal 1999, però questa pare non essere una priorità per il Governo".
Eppure, senza di loro, i tribunali rischiano la paralisi.
Un assaggio lo si avrà in settimana, quando la maggior parte dei procedimenti verrà rinviata.